Dell’arte inutile come spreco di sé

Il recente saggio di Nuccio Ordine L’utilità dell’inutile propone un’appassionata meditazione sul carattere disinteressato dell’arte, contro la barbarie culturale imposta dalle leggi del mercato. Di Letizia Gatti

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Le immagini riproducono due momenti dell’adattamento televisivo del Mercante di Venezia (1969-70) di Orson Welles, contenuti in due film documentari, Orson Welles: The One-Man Band di Oja Kodar e Vassili Silovic e Searching for Orson di Jakov e Dominik Sedlar (1). La pellicola ebbe vita travagliata: Welles dovette dapprima lottare con i finanziamenti, che lo costrinsero a trasformare il lungometraggio in un mediometraggio di 40 minuti, poi con i permessi per girare a Venezia; infine, a riprese concluse, alcuni rulli furono rubati dal portabagagli della sua macchina e il progetto rimase incompiuto. Anni più tardi, a Malaga, in Andalusia, mentre era impegnato nelle riprese de La décade prodigieuse di Chabrol, l’attore rigirò il celebre monologo di Shylock (atto III, scena prima) andato perduto, in uno spazio scenico che accresce l’effetto di straniamento della sua interpretazione (2). Nuccio Ordine osserva come in quest’opera shakespeariana siano centrali i temi del denaro, dell’usura e del commercio. Per Marx il personaggio dell’ebreo che pretende la sua libbra di carne umana segna il passaggio “dall’usuraio al moderno creditore”: “il fantasma di Shylock”, spiega Ordine, “diventa, nei suoi scritti dedicati all’usura, metafora del capitale e dell’alienazione dell’uomo ridotto a denaro e a merce”.

Le immagini riproducono due momenti dell’adattamento televisivo del Mercante di Venezia (1969-70) di Orson Welles, contenuti in due film documentari, Orson Welles: The One-Man Band di Oja Kodar e Vassili Silovic e Searching for Orson di Jakov e Dominik Sedlar (1). La pellicola ebbe vita travagliata: Welles dovette dapprima lottare con i finanziamenti, che lo costrinsero a trasformare il lungometraggio in un mediometraggio di 40 minuti, poi con i permessi per girare a Venezia; infine, a riprese concluse, alcuni rulli furono rubati dal portabagagli della sua macchina e il progetto rimase incompiuto. Anni più tardi, a Malaga, in Andalusia, mentre era impegnato nelle riprese de La décade prodigieuse di Chabrol, l’attore rigirò il celebre monologo di Shylock (atto III, scena prima) andato perduto, in uno spazio scenico che accresce l’effetto di straniamento della sua interpretazione (2). Nuccio Ordine osserva come in quest’opera shakespeariana siano centrali i temi del denaro, dell’usura e del commercio. Per Marx il personaggio dell’ebreo che pretende la sua libbra di carne umana segna il passaggio “dall’usuraio al moderno creditore”: “il fantasma di Shylock”, spiega Ordine, “diventa, nei suoi scritti dedicati all’usura, metafora del capitale e dell’alienazione dell’uomo ridotto a denaro e a merce”.

Essere ottimisti è da criminali: ripensando Adorno.

Una certa attenzione al pensiero di Adorno, che non è mai mancata nel tempo ma che si è fatta più viva negli ultimi anni, sembra costituire un sintomo importante di quell’uscita dal postmoderno, strada ancora lunga peraltro, che sta avvenendo nella cultura “alta”. Un libretto in cui si raccoglie un dibattito televisivo su due opere di Beckett, messo in onda dalla televisione tedesca il 2 febbraio del 1968, e pubblicato recentemente, permette a Adorno di sintetizzare con grande efficacia il suo pensiero sull’opera di Beckett (per altro già espresso, se pure, ovviamente, in altro modo, in un saggio precedente) e, più in generale, su alcune sue posizioni di filosofia estetica. Di Gigi Livio

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Dalla parte del pubblico di David Bruni

Il nuovo libro di David Bruni è un attento esame dell’attività di sceneggiatore di Aldo de Benedetti, protagonista, nel cinema e nel teatro, di una fase fondamentale della trasformazione della cultura popolare in Italia. Di Enrico A. Pili

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Tra le fotografie presenti nel testo vi è una immagine tratta da L’angelo bianco (1955) che raccoglie bene alcuni dei motivi principali del connubio De Benedetti-Matarazzo: innanzitutto l’attrice Yvonne Sanson, che in coppia con Amedeo Nazzari appare in molti dei loro film; poi vi è l’ombra proiettata dalle sbarre che, siano di un convento o di una prigione, sono sempre presenti a evocare simbolicamente la morsa terribile del destino avverso sulle vite degli umili; vi è infine l’abito monacale, simbolo dell’amore impossibile tra Guido-Nazzari e Luisa-Sanson, ormai convertitasi in Suor Addolorata, conversione che non è altro che uno dei tanti modi con cui il destino beffardo tormenta i giovani eroi di questi film.

Agli studenti, e agli insegnanti. Per «salvare anche loro da noia superflua».

La nuova edizione de L’ABC del leggere (1934) di Ezra Pound, saggio indirizzato a «chi desidera apprendere», ci invita a meditare sulla funzione sociale della didattica e sul compito, spesso misconosciuto, a cui è chiamata a rispondere la pedagogia. Di Letizia Gatti

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Testo fondamentale di critica letteraria, L’ABC del leggere di Ezra Pound fu pubblicato per la prima volta nel 1936; viene oggi riproposto da Garzanti per la collana Garzanti Novecento. Il saggio intende offrire a studenti e insegnanti e, più in generale, «a chi desidera apprendere» un manuale di «avviamento alla lettura». Tanto necessario quanto mai urgente in un tempo in cui, come afferma il grande poeta statunitense, «la cura e la riverenza per il libro come tale, propria di epoche nelle quali nessun libro veniva duplicato se qualche amanuense non si dava la pena di copiarlo, non si confà più, palesemente, ai “bisogni della società” o alla conservazione del sapere». È «indispensabile», allora, «strappare le erbacce se il Giardino delle Muse deve restare un giardino».

Il vero Oriente di Artaud: Il teatro dell’altro di Marco De Marinis.

Il nuovo libro di Marco De Marinis, Il teatro dell’altro, tratta dell’interculturalismo e del trans culturalismo nel teatro contemporaneo attraverso l’analisi di tre maestri che hanno affrontato questi problemi: Artaud, Grotowski e Barba. Il nostro “resoconto” intende, proprio così, rendere conto di come l’autore rintracci, attraverso un’analisi serrata e avvincente, la scoperta del vero Oriente per Artaud. Di Gigi Livio

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Teoria Tradizionale e Teoria Critica. Un problema irrisolto

Sono passati 75 anni dal celebre saggio di Max Horkheimer che proponeva, in modo chiaro e perentorio, la necessità di ripensare l’edificio teorico tradizionale, colpevole – secondo Horkheimer – di rispondere solo in parte alle esigenze conoscitive pratiche dell’individuo. A oggi, le analisi di Horkheimer, suonano sempre più attuali, ma, proprio per essersi evolute da profezie a realtà osservabili, e forse anche perché non stimolano più una passione critica legata alla teoria critica, le sue previsioni sono sempre meno prese in seria considerazione. Di Nicola Busca

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L’immagine del Marx gaudente che fa il segno della vittoria è stata utilizzata anche dal filosofo torinese Diego Fusaro come copertina del suo libro, «Bentornato Marx. Rinascita di un pensiero rivoluzionario». In quest’opera, edita da Bompiani nel 2009, il giovane pensatore torinese prende coraggio e affronta, con grande onestà intellettuale, ciò che rimaneva del pensiero marxista, ovvero – riprendendo un’espressione di Jacques Derrida – spettri che infestavano la storia del pensiero. Che sia giunto il tempo di una Marx renaissance?

L’UOMO A UNA DIMENSIONE: Massimo de Rigo. Olio su tavola, 1966. «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico». Herbert Marcuse, lo psicologo della Scuola di Francoforte, iniziava così la sua opera diventata poi manifesto dell’intero movimento studentesco degli anni ’60. La teoria critica aveva, tra i suoi obiettivi, anche quello di combattere l’unilateralità di pensiero, spesso causa della modalità teorica tradizionale e, almeno potenzialmente, controbattibile da parte della teoria critica.

William James: dal pragmatismo alla credenza utopica

Oltre a essere una filosofia pragmatica, empirista e fortemente legata alla realtà, quella di William James è anche, a uno sguardo più approfondito, una formulazione di pensiero in grado di aprire a risultati sorprendenti e inaspettati. Di Nicola Busca

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Cartelli stradali Utopia. Come in questi cartelli stradali, molti hanno già indicato la via da seguire per l’utopia. Non si tratta qui di sognare a occhi aperti, e nemmeno di arrischiarsi in elzeviri filosofico-metafisici irrealizzabili. Basterebbe ridefinire l’utopia, oppure, quanto meno, riferirsi a qualcosa di simile a essa. Basterebbe veramente pensare, un po’ seguendo la lezione di James, che ogni nostra idea, se viva e interessante, può effettivamente portare a un miglioramento del mondo nel quale viviamo.

Cartelli stradali Utopia. Come in questi cartelli stradali, molti hanno già indicato la via da seguire per l’utopia. Non si tratta qui di sognare a occhi aperti, e nemmeno di arrischiarsi in elzeviri filosofico-metafisici irrealizzabili. Basterebbe ridefinire l’utopia, oppure, quanto meno, riferirsi a qualcosa di simile a essa. Basterebbe veramente pensare, un po’ seguendo la lezione di James, che ogni nostra idea, se viva e interessante, può effettivamente portare a un miglioramento del mondo nel quale viviamo.

We Inhabit the Corrosive Littoral of Habit. James Gleeson, 1940, olio su tela, 40,7 x 51,1, National Gallery of Victoria, Melbourne.
Proprio come nel dipinto di Gleeson – artista surrealista australiano che tratta soprattutto i temi dell’inconscio, della religione e della mitologia – se ci intratteniamo troppo a lungo sul litorale dell’abitudine, ci disintegriamo. L’abitudine corrode, è stantia, è il presupposto del decadimento, fisico e mentale. Bisogna cambiare aria, cercare un’altra spiaggia, trovare nuova linfa vitale. In soldoni, credere e ricercare il nuovo e il differente. L’evento perturbante.

Adorno: Natura e Storia

Nel secondo dei saggi sull’Attualità della filosofia, Adorno, criticando la fenomenologia di Scheler e Heidegger propone, al contempo, un’originalissima definizione di Natura. Di Nicola Busca

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La caducità del tempo in una giornata di luglio, Parigi. Lo scorrere temporale ha sicuramente il ruolo fondamentale sia nel disgregare sia nel rendere l’opera dell’uomo come parte integrante del paesaggio naturale. Tutto ciò che l’uomo fa – secondo Adorno – è natura, mito, produce storia. Tuttavia, senza lo scorrere inesorabile del tempo, la produzione umana non potrebbe essere inglobata così facilmente dal mondo esterno.

Canaletto, Capriccio con rovine classiche, olio su tela, 180 x 323, Milano, collezione privata. Adorno propone, nel saggio sull’Idea di storia naturale una particolare definizione di natura. La natura è qui concepita da Adorno come ciò che scaturisce dal mondo dell’uomo, è tutto ciò che gli individui producono e fanno. La natura manifesta tutto l’uomo e tutta l’umanità, è tutto ciò che l’uomo porta a compimento nella sua esperienza mondana. Si potrebbe quindi vedere, ampliando la definizione di Adorno, una sorta di continuità tra la produzione umana e la natura come canonicamente viene definita. Ecco quindi che le rovine ritratte dal Canaletto diventano parte integrante del paesaggio naturale, la caducità del tempo e la forza disgregante del divenire inglobano l’opera dell’uomo nel mondo naturale e le costruzioni architettoniche stesse diventano paesaggio naturale. In questo modo, le rovine di un tempio greco e una giungla equatoriale iniziano a vedere sfumati i loro contorni. Tutto diventa mondo dell’uomo.

Filosofia e Attualità. Binomio attuabile?

All’indomani del crollo delle filosofie idealiste e totalizzanti, Adorno, nei suoi scritti giovanili, si chiede quale possa ancora essere il ruolo della filosofia nell’età contemporanea. Di Nicola Busca

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Anche in questa nostra era tecnologica e multimediale, seguendo l’esempio di Adorno e Bodei, si possono trovare spazi per la discussione filosofica. Forse si potrebbe proprio partire, come fa questo Eraclito in versione contemporanea, da internet e dai mezzi di comunicazione di massa. Uscendo dall’ambito accademico e universitario, perché non cercare  – se non la completezza teorica e l’approfondimento critico – qualche spunto per riflettere proprio sul web?

Ulisse e le Sirene, William James Draper, olio su tela,1909. Come Ulisse e i suoi marinai non potevano non essere rapiti dal canto delle sirene, così l’uomo contemporaneo – in un’epoca di positivismo e scientismo dominanti – non può non ascoltare il richiamo della filosofia. Questa disciplina, apparentemente così lontana dal reale, nasconde al suo interno (forse proprio nel suo nome così musicale e attraente) un richiamo ancestrale dal quale l’uomo non può rimanere immune.

Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov. Come Benjamin diventa un idolo rock sotto la penna di uno scrittore pop

La nuova edizione critica del saggio benjaminiano del 1936, commentato capitolo per capitolo dallo scrittore di Novecento Alessandro Baricco, è un perfetto esempio del proliferante successo di una figura postmodernissima ma nient’affatto nuova, quella del “critico come spettatore”.

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Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov fu pubblicato per la prima volta in Italia da Einaudi nel 1962, nella raccolta di saggi intitolata Angelus Novus. In questa breve ma folgorante opera Benjamin riflette su un’arte antichissima, quella del narrare, che “volge al tramonto perché viene meno il lato epico della verità, la saggezza”. Benjamin scriveva nel periodo tra le due guerre; oggi alcune considerazioni andrebbero ridiscusse alla luce di ciò che è accaduto successivamente ma la maggior parte delle tesi di fondo conserva intatta la sua validità e il suo inesauribile fascino. Impossibile riassumere nello spazio di una didascalia il contenuto di un’opera così ricca. Vale la pena però di riportare, a titolo esemplificativo, un passaggio di autentica bellezza, per dare un’idea della capacità narrativa di Benjamin e del dispiegarsi del suo pensiero critico: “il ricordo […] è l’elemento musale dell’epica in senso lato. Esso abbraccia le sottospecie musali dell’epico, fra cui tiene il primo posto quella incarnata dal narratore. Esso crea la rete che tutte le storie finiscono per formare fra loro. L’una si riallaccia all’altra, come si sono sempre compiaciuti di mostrare i grandi narratori, e in primo luogo gli orientali. In ognuno di essi vive una Sheherazade, a cui, ad ogni passo delle sue storie, viene in mente una storia nuova. È questa la memoria epica e l’elemento musale del racconto”.

Alessandro Baricco è l’autore di queste note a commento della nuova edizione de Il narratore: più che un’integrazione critica, è lo sguardo partecipe e trasognato del tifoso ad accompagnarci capitolo dopo capitolo alla scoperta dell’opera di Benjamin. È un po’ come studiare l’Orlando Furioso dal riassunto del bigino. Si pretende quella fatica lì.