Intorno alla memoria degli attori e a una nuova biografia di Eleonora Duse

La recente traduzione di un’ampia biografia su Eleonora Duse, edita negli Stati Uniti nel 2003, è l’occasione per avviare alcune riflessioni dedicate alla questione relativa alla memoria dell’arte degli attori. Di Donatella Orecchia
In particolare, si tratta di comprendere quanto la scelta del racconto della vita dell’artista (fra carriera e vita privata) sia il riflesso di una visione del teatro e dell’arte propria della società contemporanea che, spostando l’interesse sul privato dell’artista, rimuove o minimizza il significato del suo lavoro stilistico.

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Eleonora Duse in Fedora di Sardou. Di lei scrisse nel 1897 Adelaide Ristori: “si è imposta una fisionomia stramba, bizzarra, eccentrica, soffusa una fisionomia facile a decomporsi e a ricomporsi di un grande pallore […] Ha un certo modo di gestire bizzarro delle braccia lungo la persona stanca e abbattuta, un certo sollevare angoloso del braccio, tenendolo in una quale rigidezza meccanica, un certo sollevare delle mani aperte, con tutte le cinque dita divaricate […] non è affatto un’artista della verità, come gridano certi suoi troppo caldi ammiratori. La Duse si è creata da sé la sua propia maniera, si è creata da sé una specie di convenzionalismo tutto suo per cui è essenzialmente la donna moderna.

Eleonora Duse in La moglie di Claudio di Alexandre Dumas figlio, uno dei suoi più grandi successi del periodo giovanile, esempio emblematico della sua scelta di portare sulla scena personaggi dai tratti negativi, privi di quell’eroismo sublime che aveva caratterizzato il repertorio di tante prime attrici del periodo precedente. Cesarina, la protagonista, è infatti una di quelle sue eroine ‘moderne’, malate di nevrosi, come si diceva allora, o piuttosto di un disagio a vivere nell’incertezza di quei tempi che ella seppe rendere con il suo stile particolare.