Incanto e scacco in Giacometti

La Loggetta Lombardesca di Ravenna ospita, fino al 15 febbraio, una mostra dedicata ad Alberto Giacometti: sono esposte su tre piani preziose opere del grande maestro svizzero, dalle sculture del ‘periodo surrealista’ a disegni, litografie, tele, per concludere con un bellissimo Homme qui marche. Di Maria Pia Petrini
Una ricerca che si spinge ben oltre le apparenze; matita, pennello e mani riducono e sottraggono, dischiudendoci un luogo dove ogni nostra certezza si scopre infondata.
 
Una vita spesa a “mordere” la realtà per comprenderla, con l’ossessione di non vedere mai abbastanza, con lo strazio di doversi fermare all’incanto di un solo attimo.
 
Un insegnamento prezioso, che ci svela la bellezza di spendersi per la comprensione, in un mondo che impone, invece, di vendere se stessi.

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Project pour un livre V, 1951. Matita litografica su carta (mm395x295). La capacità di vedere è anche quella di saper togliere: i pochi tratti di matita attraversano e sgretolano l’immagine di un uomo che si volta stupito, per cogliere l’attimo e l’abisso della sua insicurezza.

Femme égorgée, 1932 (1940). Bronzo (cm 23,2×89). Il nostro sguardo resta “disorientato” e “perduto” alla vista di opere come Donna sgozzata, in cui vita e morte sono compresenti in un corpo ancora in tensione nonostante la letale ferita.

Homme qui marche I, 1960. Bronzo (cm 183x26x95,5). Una sottile e fragile figura che avanza protesa e trattenuta nel vuoto: un’esile sagoma abbozzata e senza tempo, che si fa movimento portando con sé l’eco di un passato antico, di un’assenza incolmabile eppure presente e volta al futuro.

Gian Maria Volonté: la volontà di essere attore

Dieci anni fa l’attore moriva sul set di un film: riguardare alla sua arte lucida e raffinata serve a comprendere, oggi più che mai, il discrimine tra la radicalità e il coraggio delle scelte autentiche e la convenienza e superficialità della falsa coscienza. Di Silvia Iracà
Il decennale della morte di Gian Maria Volonté (dicembre 2004) ha fornito l’occasione per tornare a riflettere sull’arte e sulla vita di questo nostro grande attore: televisione e giornali lo hanno ricordato con la consueta oziosità aneddotica che da sempre intrattiene il grande pubblico.
Ma la figura di Gian Maria Volonté fu, e continua a essere, difficile da costringere in una formula, tanto più se pensata ad uso e consumo della frivolezza a cui tanta diffusa spettacolarizzazione ci ha abituati da qualche decennio a questa parte.

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Volonté è Lulù Massa nella Classe operaia va in paradiso di Elio Petri (1972): la forza espressiva dell’attore è il risultato di una raffinata e complessa tecnica recitativa al servizio di uno studio rigoroso e minuzioso sul personaggio da cui sapeva sempre trarne, come nel caso dell’operaio Massa, l’intima verità.

Randone/Militina, Volonté/Lulù Massa nella Classe operaia va in paradiso di Elio Petri (1972). L’attore di tradizione e l’attore della generazione successiva: due poetiche recitative a confronto che entrano in rapporto dialettico. L’espressività sorniona del vecchio Randone, a tratti ironica, a tratti mesta e quella schizofrenica del giovane Volonté giocata sull’accostamento dissonante di accenti striduli e sommessi e gesti enfatici e rattenuti, si combinano con maestria dando luogo a scene di rara intensità.

Il commissario di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Elio Petri, 1970) è un esempio altissimo della cifra grottesca nella recitazione di Volonté. L’attore fa del personaggio un’incarnazione puerile e nevrotica dell’uomo di polizia e in questa parodia svela con angoscia la vanità del potere.