Necessità dell’antagonismo

La critica al postmoderno, oggi, non può non partire da una constatazione tanto oggettiva quanto priva di inutili consolazioni: il postmoderno ha vinto. La mutazione antropologica, paventata da Pasolini più di quaranta anni fa, è ormai un fatto compiuto e quasi totalitario. In quel “quasi” è la nostra speranza.
La critica al postmoderno, inoltre, non può essere condotta a partire da una difesa a oltranza del moderno riproponendo valori di quell’epoca, e della ideologia che ne è scaturita, senza tener conto dei disastri cui questi valori hanno portato. Si tratta di fondare il discorso sulla constatazione che molti dei non-valori e dei regressi tipici del postmoderno trovano la loro origine nelle contraddizioni dell’epoca moderna.
Strumento ineliminabile messo a punto dalla modernità su tracce antiche è, invece, la dialettica che permette di scoprire le contraddizioni oggi più che mai occultate dall’ideologia dominante.
Queste contraddizioni non hanno voce anche per colpa di una cultura asservita. Portarle alla luce è il compito di ogni intellettuale che intenda ancora onorare il proprio ruolo: quello di tentare di essere la coscienza critica del presente.

Nell’epoca del trionfo del postmoderno, che frequenta una morale debole e che valuta in modo positivo il tradimento, scendere a patti sui valori fondamentali del vivere civile vuol dire tradire.
Il lavoro dall’interno delle istituzioni culturali, così come sono oggi, un tempo giustamente vissuto come sano e produttivo, non è più praticabile perché immediatamente si rivolta in compromesso col nemico.
Perché un’istituzione culturale esista, e sia dunque riformabile, è infatti necessario che la volontà delle persone che ne fanno parte la voglia e pretenda come tale e cioè come una struttura tesa a migliorare la cultura tramite un’autocritica e una critica costanti.
Nel momento in cui l’individualismo negativo dell’epoca postmoderna ha preso il sopravvento eliminando ogni forma di socialità della cultura a favore dell’interesse personale ha negato l’istituzione proprio in quanto tale.
La proposizione brechtiana “abbraccia il boia ma cambia il mondo” non è oggi più praticabile: chi abbraccia il boia viene a sua volta da lui stretto in un abbraccio mortale.

La riduzione a merce dell’arte e della cultura, contro cui gli artisti e gli intellettuali in genere hanno combattuto battaglie epocali nell’epoca moderna, non senza compromissioni da parte di molti, viene ora accettata come un dato ineludibile e addirittura esaltata nell’epoca postmoderna.
La dialettica, troppo spesso prostituita per giustificare trasformismi e opportunismi, deve ritrovare la forza e la capacità di ri-proporsi come strumento di analisi spietata (a incominciare da se stessi) per prepararsi a portare avanti uno scontro frontale, che non può prevedere discese a patti.

Un altro celebre detto ci serve a capire: “triste è il tempo che ha bisogno di eroi”. Viviamo tempi tristissimi che hanno, appunto, bisogno di eroi. L’interpretazione riduttiva e conformistica del detto di Brecht che crede di scorgervi l’invito a non fare gli eroi è cosa da pulcinella della morale.
E’ certamente vero, ciò che recentemente ha scritto Žižek e cioè che, “nell’era attuale del permissivismo che funge da ideologia dominante” riappropriarsi “della disciplina e dello spirito di sacrificio” è necessario poiché in questi valori “non c’è niente di intrinsecamente ‘fascista’” ed è altrettanto vero che anche il richiamo al coraggio di abbandonare posizioni opportunistiche e politicistiche -dove la politica è ridotta a chiacchiera- non ha in sé nulla di intrinsecamente ‘reazionario’.
Proporre un ideale eroico, oggi, vuol dire semplicemente prefiggersi di stare fuori, in ogni modo e sempre, dalla morale del mercato che gli omuncoli postmoderni declinano come “morale debole”. E anche dal linguaggio corrente democraticistico e filisteo, che è quello del mercato, e non aver paura della reboanza e della retorica utili al contrario a caricare dell’enfasi necessaria ciò che non può che essere detto in modo enfatico e reboante.
I valori antichi, che la borghesia ha sostituito con il freddo pagamento in contanti, mascherato ideologicamente da falsi valori, come ancora oggi ci insegna Marx, si basano sul rispetto di se stessi che comporta, di necessità, il rispetto degli altri.
L’inarrivabile Petrolini ci invita a partire dall’orrore di se stessi, “gettati” in un mondo che non abbiamo scelto e in cui dobbiamo pur vivere senza estraniarci dallo stesso ché sarebbe ridicola fuga individualistica nel proprio io. C’è un solo modo per tornare al rispetto di sé, oggi, ed è quello di provare orrore per se stessi.
E’ partendo proprio da questo orrore che hanno lavorato gli artisti di contraddizione, da Sade e Leopardi fino a noi. E ora che l’orrore ci morde il cuore e ci attossica il cervello, anche noi cercheremo, come critici e storici, di essere all’altezza di quei pochi artisti forti, ridotti ormai a pochissimi, che hanno il coraggio di porsi fuori del mercato senza cercare compromessi tanto osceni quanto ridicoli.

Se ci sarà un riscatto, e quando ci sarà, a loro, e a loro soli, guarderanno coloro che intendono preparare un “ordine nuovo”, nell’accezione gramsciana ovviamente, nel campo della cultura per sé e per quel numero spaventoso di persone che soffrono sotto il giogo del mercato capitalistico e che non hanno voce. Dar voce a questo popolo di morti-viventi è lo scopo di qualsiasi battaglia culturale che pretenda di avere ancora un senso.

PDF

Face to face (book)

Un’indagine critica sulle logiche culturali di Facebook e sul totalitarismo mediatico dei nuovi strumenti di comunicazione di massa. Di Letizia Gatti
Con più di trecento milioni di iscritti e una plurimiliardaria quotazione in borsa, Facebook è il sito di social networking più popolare del momento. Il suo successo ci induce a riflettere con urgenza sul carattere falsamente democratico e libertario dei new media, ultime frontiere del tardocapitalismo moderno.

PDF

Videocracy e la realtà berlusconizzata Videocracy e la realtà berlusconizzata

Videocracy, dell’italo-svedese Erik Gandini, è un interessante punto di vista sulla politica culturale portata avanti da Berlusconi attraverso la televisione negli ultimi trent’anni. Non quindi un documentario/dossier con fatti sconvolgenti e sconosciuti ma uno sguardo esterno a fatti noti che porta a riflettere sulla fascistizzazione del nostro stesso sguardo. Di Enrico Pili
Il progetto politico eversivo di Berlusconi, palesatosi nell’ultimo quindicennio, era in realtà iniziato trent’anni fa dalle sue televisioni private, che secondo un preciso disegno culturale hanno mirato a una trasformazione radicale della realtà, preparando la sua ascesa politica.

PDF

L’agente Lele Mora si fa riprendere nella sua casa in Costa Smeralda, la “villa bianca”. La pacchianeria che ne caratterizza l’arredamento è spaventosamente in linea con il cattivo gusto propinato dalla televisione come gusto “elevato”, a cui tendere, che cancella il concetto di “valore” legato a un gusto veramente elevato e nobile. Le altre due case esaminate dal regista, quella di Carnevali e di Corona, sono invece luoghi assolutamente spersonalizzati: la prima viene inquadrata dall’alto nel suo spazio urbano, la periferia bresciana, vuota e inospitale, fatta di palazzoni con anonimi giardinetti; la seconda viene inquadrata solo in parte e dall’interno, ma ne vediamo il bagno, spaventosamente spoglio, ornato solo di un enorme specchio di fronte al quale il vip è atteso dai suoi stilisti personali.

L’agente Lele Mora si fa riprendere nella sua casa in Costa Smeralda, la “villa bianca”. La pacchianeria che ne caratterizza l’arredamento è spaventosamente in linea con il cattivo gusto propinato dalla televisione come gusto “elevato”, a cui tendere, che cancella il concetto di “valore” legato a un gusto veramente elevato e nobile. Le altre due case esaminate dal regista, quella di Carnevali e di Corona, sono invece luoghi assolutamente spersonalizzati: la prima viene inquadrata dall’alto nel suo spazio urbano, la periferia bresciana, vuota e inospitale, fatta di palazzoni con anonimi giardinetti; la seconda viene inquadrata solo in parte e dall’interno, ma ne vediamo il bagno, spaventosamente spoglio, ornato solo di un enorme specchio di fronte al quale il vip è atteso dai suoi stilisti personali.