Il metodo di lavoro di Pina Bausch

Pina Bausch, la coreografa e danzatrice cui si deve uno stile recitativo non solo nuovo ma profondamente radicato nel presente, è morta qualche mese fa. Come suo ricordo vengono qui proposti alcuni brani di un incontro-conferenza che tenne a Torino nei prima anni novanta.
A cura di Gigi Livio
Il metodo di lavoro di Pina Bausch, probabilmente la più grande coreografa e danzatrice del secondo
novecento, morta di recente, è qui ricordata riportando brani di un incontro-conferenza che tenne a Torino
nei primi anni novanta. Sono stati scelti i passi più significativi in cui la Bausch parla del proprio metodo
di lavoro. A questi ne è stato aggiunto uno, ironico e severo al tempo stesso, in cui dice dei suoi esordi a
Wuppertal.

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Le due fotografie di Café Müller (prima rappresentazione 20 maggio 1978) permettono di apprezzare, oltre alla presenza scenica di Pina Bausch, almeno la scenografia e l’uso delle luci. L’uso scenografico delle sedie risulta particolarmente suggestivo nella linea di un teatro-danza che pretende il suo radicamento nel moderno senza per questo rinunciare al risultato estetico degli strumenti quotidiani usati dalla regista-coreografa-danzatrice. La figura così graziosamente, ma anche disperatamente, allungata della Bausch viene replicata dall’ombra sul fondale, mentre si nota anche quella proiettata dalle sedie: al di là di tutti i significati che si possono attribuire all’“ombra”, questa fotografia ci permette di notare la valenza esteticamente raffinata dell’effetto di luce. Nella seconda fotografia notiamo invece il distacco recitativo e formale, non dovuto alla diversa capacità artistica ma a una scelta coreografico-registica ben precisa, tra Pina Bausch e gli altri danzatori; come a sottolineare una certa estraneità del nostro mondo ai valori estetico-formali di una tradizione se pure rivisitata e assunta in modo critico e tormentato.

Le due fotografie di Café Müller (prima rappresentazione 20 maggio 1978) permettono di apprezzare, oltre alla presenza scenica di Pina Bausch, almeno la scenografia e l’uso delle luci. L’uso scenografico delle sedie risulta particolarmente suggestivo nella linea di un teatro-danza che pretende il suo radicamento nel moderno senza per questo rinunciare al risultato estetico degli strumenti quotidiani usati dalla regista-coreografa-danzatrice. La figura così graziosamente, ma anche disperatamente, allungata della Bausch viene replicata dall’ombra sul fondale, mentre si nota anche quella proiettata dalle sedie: al di là di tutti i significati che si possono attribuire all’“ombra”, questa fotografia ci permette di notare la valenza esteticamente raffinata dell’effetto di luce. Nella seconda fotografia notiamo invece il distacco recitativo e formale, non dovuto alla diversa capacità artistica ma a una scelta coreografico-registica ben precisa, tra Pina Bausch e gli altri danzatori; come a sottolineare una certa estraneità del nostro mondo ai valori estetico-formali di una tradizione se pure rivisitata e assunta in modo critico e tormentato.

L’immedesimazione e lo straniamento. Conseguenze nello “spettacolo” politico

Certi politici (e cioè quasi tutti), come certi attori naturalistici (e cioè quasi tutti) perseguono
in ogni modo il tentativo di far immedesimare gli elettori e gli spettatori in se stessi in modo da evitare che questi possano sviluppare il loro senso critico.
 Di Valérie Bubbio

Mai come oggi, in piena dittatura democratico-mediatica, è importante ristudiare le posizioni di Bertolt
Brecht sull’immedesimazione e lo straniamento. È proprio la prima che ci dà ragione di un consenso politico altrimenti difficile da spiegare. Rimeditare quanto scrisse al proposito il drammaturgo e teorico tedesco 
può servire a indicare una via possibile, anche se difficilmente perseguibile, per uscire dall’impasse.

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Le immagini ci mostrano due atteggiamenti oratori del Führer tedesco e del presidente del consiglio italiano. Tra queste due fotografie passano circa settant’anni: le analogie vanno pertanto ricercate in modo attento a non cadere in banalità e in accostamenti superficiali. Tra Hitler, che dichiara a chiare lettere di essere un dittatore, usando in modo positivo il termine, e il dittatore mass-mediatico italiano che, al contrario, si dichiara democratico e nemico dei dittatori, usando quindi in modo negativo la parola, possiamo però osservare un’affinità nel modo di proporsi. Tenuto conto che Hiter non ha nessun motivo per risultare simpatico al suo popolo ma, invece, intende mostrarsi autoritario e feroce –sottolineiamo nuovamente che quasi un secolo divide i due personaggi- mentre Berlusconi vuole, e grazie al suo potere mass-mediatico riesce, risultare simpatico a quella maggioranza di italiani che sta dalla sua parte e che lo deve votare, l’atteggiamento però di ‘capo’ e cioè di persona in grado di assumersi la responsabilità di decisioni che possono cambiare l’assetto politico del proprio paese, è molto simile. Tutti e due, e qui sta la coincidenza, pretendono (e l’uno c’è riuscito e l’altro ci riesce da molto tempo ormai) l’immedesimazione in sé dello spettatore-elettore; che vorrebbe essere come loro, un vero capo e, grazie all’illusione immedesimativa, riscattare così la propria miserabile esistenza.