De mortuis nihil nisi Bene.

L’articolo presenta una scheggia di un lavoro futuro dove, tra le altre cose, ci si occuperà in modo critico approfondito della distinzione dei due periodi dell’attività artistica di Carmelo Bene, la prima all’insegna prevalentemente dell’allegorismo e la seconda a quella, sempre prevalentemente, del simbolismo. Di Gigi Livio

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Nella prima fotografia vediamo Carmelo Bene in un momento di Pinocchio del 1966: la posizione del corpo e il volto esprimono rabbia e sprezzo, rabbia per dover vivere in un mondo e in un teatro che non gli appartiene e sprezzo per quel mondo e quel teatro. Più tardi, a partire dalla fine degli anni sessanta, Bene abbandona quella visione del mondo antagonistica per ritagliarsi piuttosto uno spazio di grand’attore che basa tutto il suo talento sulla raffinatezza estetica. Nella seconda fotografia abbiamo un momento di Homlette for Hamlet dove risulta evidente questo cambiamento. Gli altri attori sono ridotti a statue, tra barocche e neoclassiche, mentre il suo volto esprime non più rabbia e sprezzo ma sublime superiorità sulle cose del mondo, un mondo che continua a non piacergli ma le cui regole mercantili ora accetta pur fingendo di opporvisi.

Nella prima fotografia vediamo Carmelo Bene in un momento di Pinocchio del 1966: la posizione del corpo e il volto esprimono rabbia e sprezzo, rabbia per dover vivere in un mondo e in un teatro che non gli appartiene e sprezzo per quel mondo e quel teatro. Più tardi, a partire dalla fine degli anni sessanta, Bene abbandona quella visione del mondo antagonistica per ritagliarsi piuttosto uno spazio di grand’attore che basa tutto il suo talento sulla raffinatezza estetica. Nella seconda fotografia abbiamo un momento di Homlette for Hamlet dove risulta evidente questo cambiamento. Gli altri attori sono ridotti a statue, tra barocche e neoclassiche, mentre il suo volto esprime non più rabbia e sprezzo ma sublime superiorità sulle cose del mondo, un mondo che continua a non piacergli ma le cui regole mercantili ora accetta pur fingendo di opporvisi.

Bene, Lautreamont, Wilde, Bataille

Ci proponiamo di analizzare una scena della Salomè cinematografica di Carmelo Bene (1972) alla luce dei suoi legami con vari testi amati dall’artista pugliese, in particolare con un passo dei Canti di Maldoror(Lautréamont, 1868). Di Enrico A. Pili

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Gli attimi che aprono la sequenza esaminata sembrano fornire un’ulteriore chiave di lettura possibile: l’allegoria sembra infatti “vista” da Erode nel proprio specchio, secondo un chiaro raccordo di sguardo. Il già complesso personaggio di Erode si farebbe così ancora più autobiografico (Bene-Erode “guarda” l’artista in se stesso e nasconde la sua disperazione in orgie e banchetti) e profondo dal punto di vista della femminilità di Erode e del discorso uomo-donna (Erode consapevole del proprio destino di uomo che va incontro allo spellamento finale per mano di una donna maschile con disperata consapevolezza della propria impotenza). Ma anche qui i fili del discorso si moltiplicano e si ramificano, costringendoci per il momento a queste poche proposte di superficie.