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Un teatrante che dallo schermo televisivo parla, tra le altre cose, di meccanica quantistica ci costringe a interrogarci sulle conseguenze della separazione tra cultura umanistica e scientifica.
Di Claudio Deiro

Marco Paolini nel corso del suo spettacolo Miserabili. Io e Margareth Thatcher in onda su LA7,
ha interrogato il pubblico sul Principio di indeterminazione di Heisenberg (che ha più formulazioni, tra cui
quella che costituisce il titolo dell’articolo) e sui principi della termodinamica. Nonostante si tratti
di nozioni basilari, la grande maggioranza del pubblico sembrava ignorarle completamente.

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Marco Paolini interroga il pubblico sul Principio di indeterminazione di Heisenberg, durante lo spettacolo Miserabili. Io e Margareth Thatcher andato in onda su LA7. L’ignoranza dimostrata dalla maggioranza del pubblico spinge a interrogarsi sulla distanza che separa moltissime persone dalle conoscenze scientifiche e ad affermare la necessità della riunificazione di cultura scientifica e umanistica.

Concerti di massa e critica “debole”

Una breve riflessione sul debolismo della critica a partire da una considerazione sul carattere falsamente artistico dei prodotti musicali attuali. Di Letizia Gatti
I concerti-evento svoltisi in occasione di grandi manifestazioni di massa come il No B day e il concerto del Primo Maggio a Roma, solo per citare i casi italiani più recenti, sono esempi paradigmatici di come critica e pubblico attribuiscano alle opere di alcuni autori un presunto e inesistente valore artistico, segnale allarmante di una critica assente a se stessa, incapace di distinguere un’opera d’arte da un’opera in cui contraddizione e trasformazione sono invece solo apparenti.

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I concerti-live raccolgono la partecipazione di un numero imponente di persone, specialmente per eventi e manifestazioni d’eccezione. Qui sopra un’immagine scattata a Roma durante il concerto del Primo Maggio, in occasione della festa nazionale dei lavoratori. Tra le varie performances susseguitesi sul palco, quella di Vasco Rossi ha suscitato grande coinvolgimento emotivo e immedesimazione di pubblico: la sua canzone Il mondo che vorrei è un esempio significativo di quei prodotti falsamente artistici a cui vengono attribuiti invece importanti meriti di critica dall’ideologia dominante. Il testo è il lamento di superficie del tipico autore popolare che raccoglie il consenso e l’ovazione del pubblico di massa. Parole e musica di estrema banalità, perfettamente plasmate sul gusto medio, che nell’esprimere un rifiuto nei confronti dell’esistente – e quindi implicitamente del potere politico attuale – dicono di una sostanziale adesione ai valori della classe dominante. È il tipico atteggiamento conformista dell’anticonformista, moralistico e moraleggiante, ipocrita e inautentico; l’atteggiamento di chi ha bisogno di chiamarsi fuori da ciò che critica per sentirsi nella parte del giusto. E quel giudice che riempe l’aria col suo chiacchiericcio disprezzante e compiaciuto, per dirla con Welles-Pasolini, è l’uomo medio, un mostro.

A proposito di una trasposizione cinematografica del Ritratto di Dorian Gray

Un brutto film offre qui il destro a una proposta di lettura del Ritratto di Dorian Gray di impostazione diversa da quella corrente. Di Gigi Livio

Una recente pellicola tratta dal romanzo di Wilde mette il luce l’impossibilità di trasporre in film un’opera
simbolistica. La cosa è tanto più problematica se l’opera in questione oscilla tra simbolismo e
allegorismo come sembra essere il caso del Ritratto di Dorian Gray. Una possibile lettura, incentrata
sul parziale rovesciamento dei simboli in allegorie, può aprirsi a un’interpretazione del romanzo
in chiave di parodia. Si tratta di una strada esegetica probabilmente nuova e certamente diversa da 
quelle che normalmente vengono proposte.

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La prima fotografia riproduce la locandina italiana del film, la seconda un’inquadratura in cui si vede Dorian che fuma oppio. Al di là del facile e banale simbolismo della locandina, con il corpo di Dorian che in parte si dissolve, un cupo castello sul fondo e un cielo denso di imminente tempesta, ciò che colpisce, come è nell’intenzione di chi intende propagandare la pellicola, è lo sguardo bieco che più-bieco-non-si-può del protagonista. Il film, infatti, pone in primo piano la perversione sessuale di Dorian. Ma lo sguardo bieco non indica immediatamente perversione sessuale se non nella mente contorta del filisteo: ci saranno perversi con lo sguardo limpido, o con lo sguardo cupo, o con una luce crudele negli occhi o, al contrario, con uno sguardo dolce e mansueto. Lo sguardo bieco, lungi dall’essere simbolo di perversione sessuale è semmai sintomo di perversione sociale: avere quella luce negli occhi è peculiare di chi incentra tutto il mondo in sé e necessariamente disprezza gli altri; di chi intende costruire il proprio successo sulle sofferenze altrui o di chi è pronto a tradire qualsiasi causa e qualsiasi persona per il ben noto piatto di lenticchie; di chi non ha nessun rispetto per l’umanità e nemmeno, che lo sappia o no, per la sua; di chi, per venire a un esempio concreto, disprezza l’opera di un artista usandola come piedistallo per un suo successo commerciale. E questo vale anche per un semifallimento, come in questo caso. Consolazione magra, però, perché ciò non è certo dovuto alla raffinatezza dei gusti del pubblico, che semmai chiede prodotti ancora più commerciali e corrivi.

La prima fotografia riproduce la locandina italiana del film, la seconda un’inquadratura in cui si vede Dorian che fuma oppio. Al di là del facile e banale simbolismo della locandina, con il corpo di Dorian che in parte si dissolve, un cupo castello sul fondo e un cielo denso di imminente tempesta, ciò che colpisce, come è nell’intenzione di chi intende propagandare la pellicola, è lo sguardo bieco che più-bieco-non-si-può del protagonista. Il film, infatti, pone in primo piano la perversione sessuale di Dorian. Ma lo sguardo bieco non indica immediatamente perversione sessuale se non nella mente contorta del filisteo: ci saranno perversi con lo sguardo limpido, o con lo sguardo cupo, o con una luce crudele negli occhi o, al contrario, con uno sguardo dolce e mansueto. Lo sguardo bieco, lungi dall’essere simbolo di perversione sessuale è semmai sintomo di perversione sociale: avere quella luce negli occhi è peculiare di chi incentra tutto il mondo in sé e necessariamente disprezza gli altri; di chi intende costruire il proprio successo sulle sofferenze altrui o di chi è pronto a tradire qualsiasi causa e qualsiasi persona per il ben noto piatto di lenticchie; di chi non ha nessun rispetto per l’umanità e nemmeno, che lo sappia o no, per la sua; di chi, per venire a un esempio concreto, disprezza l’opera di un artista usandola come piedistallo per un suo successo commerciale. E questo vale anche per un semifallimento, come in questo caso. Consolazione magra, però, perché ciò non è certo dovuto alla raffinatezza dei gusti del pubblico, che semmai chiede prodotti ancora più commerciali e corrivi.