Lucien Freud

Una riflessione sulla pittura del maestro inglese. Di Maria Pia Petrini

Attraverso una ricerca in profondità, Lucien Freud porta sulla superficie della tela la stratificazione
di cui è fatta la vita: una pittura sulla quale l’occhio è costretto a fermarsi e vedere una vita scabra,
ruvida, impervia, che porta i segni del suo disfacimento.

Corpi privi di tensione ma che accolgono la lotta, “campi di battaglia” che stanno lì a dirci quanto
il cammino dell’uomo sia un tentativo di far luce nell’oscurità che l’avvolge. Il loro realismo non sta 
nell’efficace riproduzione delle fattezze, quanto nel disvelamento dell’animo umano.

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Freddie Standing, 2001, olio su tela, 248,9X172,7 cm 

Un’opera che ha qualcosa di monumentale nonostante – e in contraddizione – con quello che può apparire l’atteggiamento “dimesso” della figura. Si tratta di un corpo assolutamente umano, che nulla conserva dell’eroe del mondo classico né nella posa né nello sguardo, eppure una sorta di eroismo lo caratterizza. Un coraggio, tutto umano, concreto, terrigno è dipinto nel corpo solcato dalle pennellate che lo costruiscono e al contempo ne sottolineano il disfacimento