Due pagine sul Futurismo di Mario De Micheli

Riprendiamo il discorso che abbiamo aperto nel mese di marzo con l’articolo Futurismo, nel centenario del Manifesto di fondazione di quel movimento, proponendo alcune pagine di Mario De Micheli da Le avanguardie artistiche del Novecento. Di Maria Pia Petrini

Mario De Micheli, nel suo testo dedicato alle avanguardie artistiche del Novecento, dedica un capitolo 
alle “Contraddizioni del Futurismo”, offrendoci un interessante punto di vista sul movimento e in particolare
sugli aspetti della pittura futurista: ne coglie la modernità, pur non tralasciando di sottolinearne gli aspetti
retrivi e tenendo sempre presente la condizione storica in cui è sorto. Identifica poi in Boccioni un artista 
moderno, che porta in sé e nella sua opera le contraddizioni del proprio tempo. 
Un artista d’avanguardia che rifugge il frammentismo impressionista, e dunque lo psicologismo del dato 
particolare, nel tentativo di avvicinarsi a una comprensione dolorosa del “dramma universo”.

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Materia, 1912 Olio su tela, 225X150 cm

Un quadro in cui la prospettiva classica è completamente ribaltata ed è annullato il rapporto tra sfondo e figura attraverso la loro compenetrazione. Boccioni, nel Manifesto della pittura futurista di cui è l’unico firmatario, afferma che “il ritratto, per essere un’opera d’arte, non può né deve assomigliare al suo modello, e che il pittore ha in sé i paesaggi che vuol produrre. … Per dipingere una figura non bisogna farla; bisogna farne l’atmosfera. … Le sedici persone che avete di fronte a voi in un tram che corre, sono una, dieci, quattro, tre: stanno ferme e si muovono, vanno e vengono, rimbalzano sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi, simboli persistenti della vibrazione universale…”.
Forme uniche della continuità nello spazio, 1913 Bronzo, 126X89X40 cm

In questa scultura la compenetrazione di figura e spazio è resa evidente proprio dall’assenza di distinzione tra fattezze anatomiche e linee di movimento: una figura che si fa movimento. Risulta allora evidente la piena e dolorosa comprensione di un mondo in cui “tutto si muove, tutto corre, tutto volge al rapido”, in cui “una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente” e in cui “le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono”. La tragedia dell’uomo moderno sta anche nel fatto che il suo dolore è interessante “quanto quello di una lampada elettrica, che spasima, e grida con le più strazianti espressioni di dolore”.



Cinema 3D: rivoluzione apparente

Il cinema 3D aderisce in piena regola alla logica dell’ideologia dominante
estremizzando, attraverso la terza dimensione, il carattere naturalistico che ormai da tempo domina le scene.
 Di Valerie Bubbio e Letizia Gatti

Come il cinema delle origini attraeva il pubblico pagante mostrando le “meraviglie” delle prime immagini
in movimento, così il 3D oggi attira lo spettatore per mezzo di presunte e spettacolari novità formali.
Sebbene infatti la tecnologia sia mutata, la forma – intesa come struttura – non è cambiata: sia le due 
dimensioni che la rappresentazione tridimensionale riproducono, nel cinema di consumo e intrattenimento, 
il più verosimilmente possibile il mondo e la naturalezza della vita quotidiana, facendo sembrare
consueti i fatti straordinari, per indurre lo spettatore a un’anestetizzante immedesimazione acritica.
La tecnologia 3D, in quanto portatrice della stessa ideologia culturale che muove la società dello spettacolo, 
è dunque una rivoluzione soltanto apparente che distoglie ancora una volta l’ uomo dalla comprensione
effettiva e concreta della realtà.

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Locandina di Bwana Devil (1952), il primo lungometraggio a colori girato in Natural Vision tridimensionale. Il film tenne il cartellone per circa 3 mesi e mezzo, un record per l’epoca. Agli anni Cinquanta risalgono le prime sperimentazioni sulla tecnologia virtuale applicata al cinema; dopo un breve successo iniziale l’interesse per i film in 3D calò per ridestarsi solo negli anni Ottanta e Novanta. Nel nuovo millennio il cinema tridimensionale, con il perfezionamento delle tecniche digitali ed elaborazioni grafiche più sofisticate, sta conquistando un ruolo considerevole nell’industria dell’audiovisivo. Esemplare la decisione degli organizzatori del Festival di Cannes 2009 di aprire la kermesse con il lungometraggio francese Up, ultimo film d’animazione realizzato dalla Disney/Pixar.

Fotografia scattata il 26 novembre 1952 al Paramount Theater di Hollywood da J. R. Eyerman durante la prima proiezione di Bwana Devil. Negli anni Cinquanta il pubblico poteva assistere a uno spettacolo in 3D solo nelle sale cinematografiche indossando gli appositi occhialini di carta con lenti bicrome. Oggi invece, con l’Home theatre 3D, la tridimensionalità arriva anche nelle case dello spettatore estremizzando quel naturalismo già presente in maniera pervasiva nello spettacolo televisivo di finzione.