John Heartfield e gli eredi del fotomontaggio

Grazie alla mediazione situazionista, i fotomontaggi allo stile di Heartfield arrivano al punk anarchico, che li utilizza come armi di critica verso ogni tipo di autoritarismo, di militarismo, di repressione dell’individuo. Di Enrico Pili
Heartfield, vissuto tra il 1891 e il 1968, ha creato e sviluppato il fotomontaggio satirico politico,
intuendone l’enorme potenziale comunicativo derivante da una diffusione di massa. Qualcosa di simile
accade nella scena punk anarchica, dove il fotomontaggio heartfieldiano è utilizzato per le
copertine dei dischi, fanzine, manifesti dei concerti e volantini politici, che grazie a internet trovano
oggi un’inedita utenza internazionale.

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Uno dei più efficaci fotomontaggi di Heartfield risale al 16 ottobre 1932: le parole di Hitler (“milioni sono dietro di me”) vengono trasfigurate e accompagnate dal commento “un piccolo uomo chiede grandi regali”, rivelando la realtà dei rapporti del führer con industriali e latifondisti agrari, che come è accaduto con il fascismo italiano hanno finanziato sonoramente l’ascesa del partito nazionalsocialista e le sue violenze. Il finanziatore occulto naturalmente non ha volto, pretendendo di nascondersi dietro la “mosca cocchiera” d’oltralpe.

Questo collage si trova all’interno di Object Refuse Reject Abuse, EP dei D.I.R.T. prodotto dai Crass nel 1981. Simboli e allegorie sono numerosi ma anche di facile decifrazione, finalizzati ad un impatto forte e immediato sull’”ascoltatore-spettatore”. In basso a sinistra una celebre foto del 1937 mostra dei poveracci in fila per un piatto di minestra mentre il manifesto alle loro spalle propaganda gli standard di vita “migliori del mondo” e strombazza “There’s no way like the American Way”. Dietro questa foto compaiono però poliziotti in assetto antisommossa pronti a caricarle gli affamati, perchè è così che gli USA raeganiani viene risolto il problema della povertà. I D.I.R.T. ci dicono che è la repressione a garantire quello “standard di vita”. Questo mentre sulla destra un pacifista mette un fiore nel fucile di un poliziotto (ascoltando il disco si capisce che l’accostamento è ironico e che l’azione del ragazzo è inutile e ipocrita). Su questa azione si stagliano sogni di palingenesi, dietro i quali si staglia l’incubo nucleare (negli anni ottanta si temeva un’imminente guerra nucleare). Sul suddetto sogno (in particolare sul suo autore, sull’uomo bianco) incombe il cadavere di un bambino africano, a ricordargli la falsità di quel vuoto slogan che vorrebbe dei neri schiavizzati e sorridenti. In alto a sinistra alcune immagini di animali ricordano l’impegno del gruppo contro la vivisezione e il consumo della carne.

Ecco una delle più evidenti citazioni da Heartfield. A sinistra un fotomontaggio di Heartfield del 1960 che rappresenta una colomba infilzata da una baionetta tedesca e augura speranzoso che “mai più” si ripetano le atrocità naziste. A destra la copertina di Never Again dei Discharge (1982), EP sulla guerra fredda e sul peso dell’Inghilterra nella vendita di armi nel terzo mondo. Anche loro dicono “mai più”, ma sapendo bene che le atrocità continuano.

L’EP Finirà mai? (1984) dei milanesi Wretched presenta in copertina alcune foto di guerra (un cacciabombardiere e una bomba al tritonal, mix di materiale esplosivo e alluminio, usata nei bombardamenti aerei) e dei bambini neri denutriti. C’è un rimando alla guerra in Libano dell’82-84, contro la quale i Wretched si erano già mobilitati (tanto musicalmente quanto con volantinaggi). Le scritte rendono il discorso più ampio e attaccano non solo le strategie delle guerre “democratiche”, ma anche l’impianto coloniale dei rapporti tra Occidente e Africa (i bambini sono africani, non libanesi) e la democrazia come sistema politico basato su armi, potere, sfruttameno, oppressione, morte, paura.

Appunti metodologici. A partire da un’affermazione di Carlo Cecchi su Carmelo Bene

A partire da un’elaborazione critica di Carlo Cecchi sul Carmelo Bene degli anni sessanta, l’articolo propone una riflessione metodologica esemplificata sull’opera di CB. Di Gigi Livio

L’operare di un artista, soprattutto se si tratta di un operare che si estende nel tempo, conosce varie fasi
cui è corretto attribuire il valore che hanno (e che meritano). Il pensiero postmoderno, decretando
la “fine della storia”, ha privato, oltre al resto, la critica delle opere dell’arte di questo spessore. L’articolo
intende riprendere, e riprendendo proporre in modo diverso, ipotesi esegetiche che, per altro, non
sono spesso rintracciabili nella critica; e, tanto meno, in quella che si occupa, a vario titolo, di teatro.

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Uno dei tratti stilistici che caratterizzano la recitazione di Carmelo Bene negli anni sessanta (queste fotografie sono del Pinocchio del 1966) è la rabbia, una rabbia impotente e che si risolve in grottesco nel momento in cui esprime contemporaneamente una commistione di sfogo contro un teatro (e un mondo) dove l’arte non sembra più possibile e l’impotenza data dall’inutilità dell’espressione di questa impotenza: non importerà niente e a nessuno in un teatro e in un mondo conformati alla richiesta del pubblico che vuole distrarsi e divertirsi, magari fingendo, senza sapere di fingere, di partecipare a eventi culturalmente alti. Queste due fotografie mostrano proprio la maschera di CB che esprime questo sentimento estetico, che è soprattutto morale, in modo altissimo sia da un punto di vista stilistico-formale che da quello di una profonda elaborazione di questo sentimento che coinvolge, oltre al protagonista, lo spettacolo tutto.

Uno dei tratti stilistici che caratterizzano la recitazione di Carmelo Bene negli anni sessanta (queste fotografie sono del Pinocchio del 1966) è la rabbia, una rabbia impotente e che si risolve in grottesco nel momento in cui esprime contemporaneamente una commistione di sfogo contro un teatro (e un mondo) dove l’arte non sembra più possibile e l’impotenza data dall’inutilità dell’espressione di questa impotenza: non importerà niente e a nessuno in un teatro e in un mondo conformati alla richiesta del pubblico che vuole distrarsi e divertirsi, magari fingendo, senza sapere di fingere, di partecipare a eventi culturalmente alti. Queste due fotografie mostrano proprio la maschera di CB che esprime questo sentimento estetico, che è soprattutto morale, in modo altissimo sia da un punto di vista stilistico-formale che da quello di una profonda elaborazione di questo sentimento che coinvolge, oltre al protagonista, lo spettacolo tutto.

Incontro con Leo De Berardinis e Perla Peragallo

Proponiamo la trascrizione completa colloquio di Gigi Livio e Ruggero Bianchi con Leo De Berardinis e Perla Peragallo, avvenuto il 27 marzo 1976 e pubblicato sulla rivista “Quarta parete”, nn. 3-4, 1977.
Il 27 marzo 1976, in un albergo torinese, ebbe luogo un incontro con Leo De Berardinis e Perla Peragallo,
registrato in forma di colloquio per la rivista “Quarta parete”: abbiamo scelto di riproporne in questa sede
la trascrizione integrale, come documento prezioso per la comprensione dell’arte di Leo.
La trascrizione è a cura di Chiara Delmastro.

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Leo De Berardinis, Assoli (1977)

Leo De Berardinis, Sudd (1974)

Il «rampollo degenerato» Tommaso Landolfi

Un secolo fa nasceva Tommaso Landolfi: rileggendo le sue pagine ritroviamo il significato della sua inesausta battaglia contro la scrittura, che è la rabbia contro l’ineffabilità
e incomprensibilità della vita, e riscopriamo il coraggio di una scelta radicale, nella quale l’artista consuma fino all’ultimo dei suoi respiri.
 Di Silvia Iracà

Pochi ritagli tolti da uno dei tre diari landolfiani, Rien va (1963), e dal racconto La muta (1964) per provare
a spiegare perché questo nostro grande scrittore sia ancora così attuale e come il suo rovello da «ottocentista
in ritardo», vissuto con strazio e contraddizione, ne faccia un artista della modernità, capace di incidere 
nella realtà del suo e del nostro tempo con l’esempio della sua “lotta senza quartiere” alla parola e 
all’inafferrabilità della vita.

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Tommaso Landolfi

Il “fiammeggiante” Modena e la sua utopia teatrale

Una pagina del nostro più grande attore dell’Ottocento, Gustavo Modena, tratta dal breve scritto del 1836 Il teatro educatore. Di Armando Petrini

Modena fu un attore straordinario, il più grande dell’Ottocento, e forse non solo dell’Ottocento. Attore dallo stile estremamente raffinato, si impose come “teatrante” a tutto tondo, e cioè come artefice di un visione complessiva del teatro.

Egli impostò la sua “riforma” sui due cardini del realismo grottesco e del teatro educatore. Elaborò anche
una interessantissima forma di proto-regia d’attore. Ma la sua utopia, come accade per tutte le grandi utopie
della modernità, fallisce, perché il “teatro-bottega”, come lui stesso lo definisce, ha la meglio sui progetti di cambiamento radicale.

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Rosa Luxemburg: un inno all’internazionalismo

L’Asino vola propone una lettera della grande teorica marxista in cui sono svelate le insidie del nazionalismo ed è affermato il carattere imprescindibile e fondante dell’internazionalismo nella pratica rivoluzionaria socialista. Di Chiara Delmastro

In un momento storico che vede riaccendersi, da più parti, fervori di stampo nazionalistico, proponiamo
una lettera scritta per compagni inglesi nel dicembre del 1914 da una delle menti più brillanti della scuola
marxista, la fondatrice della Lega di Spartaco Rosa Luxemburg; la missiva, oltre ad incitare alla
prosecuzione della lotta di classe nonostante il fallimento della seconda internazionale, è un duro atto di condanna verso i conflitti imperialistici – era appena scoppiata la prima guerra mondiale –, e un’ode
appassionata al sentimento di fratellanza universale che dovrebbe accomunare i lavoratori di tutto il mondo.

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Rosa Luxemburg (5 marzo 1870-15 gennaio 1919), nacque in Polonia, nel Voivodato di Lublino; giovanissima, scappò dapprima in Svizzera, dove frequentò l’università di Zurigo, 
e quindi in Germania, dove fu allieva di Karl Kautsky. La Luxemburg, insieme a Karl Liebknecht, si staccò dal partito socialdemocratico tedesco dopo che questo si schierò ufficialmente a favore della prima guerra mondiale, per fondare il partito comunista tedesco, la Lega di Spartaco. Entrambi furono assassinati per ordine dei socialdemocratici il 15 gennaio 1919. Rosa Luxemburg è stata da più parti riconosciuta come una della menti scientifiche più brillanti della scuola marxista; ma ella fu in primo luogo, come il fondatore del comunismo, soprattutto una vera rivoluzionaria.

Due pagine di Emilio Vedova

‘Vedova ci dimostra che l’artista, servendosi di mezzi puramente pittorici, può levare molto alto il suo grido di allarme per la società del nostro tempo’.
A. Tapies, 
Vedova, in “Papeles de son Armadans”, Palma de Mallorca 1962).
Di Maria Pia Petrini

Riproporre nel nostro retroterra due pagine di Emilio Vedova ha, ovviamente, un significato ben
preciso: l’artista veneziano ci parla di pittura come lotta, di uomini che hanno necessità di gridare, 
pur nel deserto, di dichiarazioni d’intenti, di speranze, di verità che vanno prese ‘per la gola’. 
Questo dovrebbe ancora essere il nostro presente.

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Emilio Vedova, … da dove … ’83-5 (cm 235×235), pittura 
su tela, 1983 

“Astratto?” – I miei agganci sprofondano nel “reale”, ma dove comincia e finisce il reale? La vita, in un continuum, da infinita e mai chiusa sperimentazione ti porta a estremi di testimonianza, in aperta articolazione.
“Scontri?”…, “No”…? «la complessità è fatta anche di sesso, di azzurro, di amore – ma per me (scrivevo) contrastata, lacerata… da sbarre, da ritmi, di ingiusto fatto». 

(Emilio Vedova, Stralci di quaderni/studio, 1980-1983)



Emilio Vedova, Immagine del tempo, olio su tela (cm 145×145), 1958-59 

[…] L’artista è libero per la sua esplorazione, come lo è lo scienziato che non domanda il permesso a nessuno per una scoperta. Non esistono soltanto scoperte scientifiche, esistono scoperte pittoriche.
La coscienza della libertà implica il superamento delle culture ultime, implica l’ubbidienza ai perentori dentro di noi, nella perseveranza accanita, nella rimessa in discussione diuturna, nella responsabilità totale.
Vivere nella coscienza significa vivere nella tensione, per toccare sprazzi, attimi di verità.
Aprire forse ancora una porta, o solo una fessura, per infinite altre porte da aprire. 

(Emilio Vedova, Tutto va rimesso in causa, 1954)

Leo parla di Perla.

Nel novembre del 1977 usciva, sulla rivista Quarta parete, diretta da Gigi Livio e Ruggero Bianchi, un colloquio con Leo De Berardinis e Perla Peragallo.

Al fondo dell’intervista compare una nota, che recita testualmente: “Questa chiacchierata – intervista con 
Leo De Berardinis è stata raccolta in un albergo torinese il pomeriggio del 27 marzo 1976 da Ruggero Bianchi e 
Gigi Livio. È sempre stata presente, per tutta la durata della registrazione, Perla Peragallo: la sua partecipazione 
alla discussione è stata attiva con gesti, espressioni, sguardi, con quella sua mimica intensa e disperata;
ma non ha parlato mai. E poiché non è possibile registrare su nastro per sole voci le espressioni, i gesti eccetera, 
ben poco resta, in questa trascrizione, del suo contributo alla discussione”. 

Riportiamo qui uno stralcio del colloquio, nel quale Leo De Berardinis descrive in modo estremamente incisivo e 
pregnante l’arte d’attore di Perla.

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Vladimir Majakovskij: per una poesia come “arma” politica

Un breve e folgorante ‘manualetto’ di consigli ‘pratici’ per aspiranti poeti di uno dei più grandi artisti del Novecento. Di Donatella Orecchia

“Bisogna mandare in frantumi la fiaba dell’arte apolitica”: così scrive Vladimir Majakovskij nel 
1926 in un breve e folgorante ‘manualetto’ di consigli ‘pratici’ per aspiranti poeti.

Oggi, in un clima politico e culturale mutato e che in nulla sembra somigliare a quello della Russia post-rivoluzionaria, quelle pagine restano di un’incredibile attualità: per la forza e la nettezza 
con cui richiamano la necessità di un’arte intesa come “arma” per la lotta culturale, per nulla astratta, 
per nulla neutrale.

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Vladimir Majakovskij (1893-1930)