Hegel Sistematico? Ma neanche per sogno!

Autonegazione ed antitesi del sistema hegeliano dal suo interno: la Fenomenologia dello Spirito, opera inquieta e rivoluzionaria. Di Nicola Busca

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La ricerca della Verità nella Fenomenologia dello Spiritoe nelle opere giovanili di Hegel in generale, è una ricerca infinita, il processo di conoscenza è destinato a non interrompersi mai. Il culmine di pensiero raggiunto dal filosofo tedesco, la sintesi, causa la sua stessa dialettica di movimento interna, non è altro che tesi di un successivo movimento. Il sistema di pensiero, in questo primo Hegel, non è assoluto e definitivo ma fluido e dinamico.

La ricerca della Verità nella Fenomenologia dello Spiritoe nelle opere giovanili di Hegel in generale, è una ricerca infinita, il processo di conoscenza è destinato a non interrompersi mai. Il culmine di pensiero raggiunto dal filosofo tedesco, la sintesi, causa la sua stessa dialettica di movimento interna, non è altro che tesi di un successivo movimento. Il sistema di pensiero, in questo primo Hegel, non è assoluto e definitivo ma fluido e dinamico.

L’idea di frattura ed inquietudine, con le dovute differenze storiche e personali del caso, emerge in maniera molto enfatizzata nei ritratti di Francis Bacon. L’artista irlandese, omonimo e forse lontano cugino del filosofo, è uno dei maggiori rappresentati novecenteschi delle inquietudini esistenziali del secolo breve. Una serie di angosce, quelle analizzate da Bacon, che personificano un mondo intero e muovono la sua arte in toto.

Vita spensierata o ricerca profonda della Verità? Il dubbio di ogni filosofo nelle pagine di David Hume

C’è un naturale bivio a cui ogni filosofo giunge prima o poi. Da una parte sta il sentiero che porta alla Verità, ovvero il duro e faticoso cammino della scienza, della riflessione e della ricerca. Dall’altra si apre invece quello del senso comune, del divertimento e della spensieratezza, facile cammino che dà sollievo e poche preoccupazioni. Hume giunge a questo crocevia, per certi versi inaspettatamente, nelle pagine conclusive del primo libro del Trattato sulla Natura Umana, quello sull’Intelletto. Di Nicola Busca

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Le Penseur, Rodin. Spesso utilizzata per raffigurare la filosofia, la statua bronzea dell’artista francese rappresenta Dante di fronte alla porta dell’Inferno. Il soggetto raffigura un uomo assorto in una profonda riflessione, ma potrebbe benissimo essere un filosofo che medita o un pensatore che dubita.

Ancora spettatori del naufragio?

La metafora del naufragio con spettatore come spunto di riflessione sui concetti di Comunità e Immunità. Cosa fare? Rimanere spettatori immuni al naufragio oppure imbarcarsi? Di Nicola Busca

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La metafora del naufragio con spettatore, battezzata da Lucrezio nel De Rerum Natura e ripresa poi da molta filosofia occidentale, fornisce un ottimo spunto per riflettere sui concetti di Comunità e Immunità. In base all’immagine lucreziana all’uomo si aprono due possibilità esistenziali antitetiche: essere meri spettatori oppure attori protagonisti della catastrofe. L’uomo può decidere se rimanere immune al mondo e al suo naufragio o, in alternativa, salire a sua volta sulla barca (la comunità stessa) che sta affondando.

La metafora del naufragio con spettatore, battezzata da Lucrezio nel De Rerum Natura e ripresa poi da molta filosofia occidentale, fornisce un ottimo spunto per riflettere sui concetti di Comunità e Immunità. In base all’immagine lucreziana all’uomo si aprono due possibilità esistenziali antitetiche: essere meri spettatori oppure attori protagonisti della catastrofe. L’uomo può decidere se rimanere immune al mondo e al suo naufragio o, in alternativa, salire a sua volta sulla barca (la comunità stessa) che sta affondando.

Slavoj Zizek, un parresiasta contro

Per superare i fallimenti della sinistra novecentesca e poter formulare una nuova «ipotesi comunista» è necessario affrontare il secolare problema del superamento del capitalismo con il coraggio di “un´analisi impegnata ed estremamente parziale”, come afferma il filosofo di Lubiana nelle prime pagine del suo ultimo saggio First as Tragedy, Than as Farce. Di Letizia Gatti

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Comicità fascistoide. I tempi duri della “satira che non c’è”

“La satira che non c’è”, secondo la definizione di Luttazzi, ci spinge a ragionare sul carattere fascistoide e falsamente grottesco che l’attuale comicità sta progressivamente assumendo.
Di Valérie Bubbio
L’intrattenimento dilagante propone sempre più spesso contenuti fascistoidi esortando alla fuga nel
disumano e all’agghiacciante annullamento del pensiero critico. L’articolo di Daniele Luttazzi pubblicato
sul Manifesto non può non spingerci a considerare anche sotto questo aspetto i nostri tempi in cui
“il dileggio della vittima è diventato il linguaggio corrente”.

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Da qualche mese Daniele Luttazzi ha aperto sul suo blog una rubrica intitolata La Palestra che nasce come luogo in cui i giovani, e non solo loro, possano allenare ed esibire i propri “muscoli satirici”. Lo scopo primario di questa “palestra”, che riceve circa duemila battute satiriche al giorno, è in realtà quello di approfondire alcune riflessioni sull’attualità “grazie al contributo dei molti” e di rendere consapevole e competente la collettività in quanto pubblico il cui “il gusto comico deve essere educato”. Perché la satira possa ancora esistere e perché si possa combattere “la regressione culturale” che in Italia “è già oltre il livello di guardia”, “occorre” infatti, come scrive l’attore satirico “competenza anche da parte del pubblico (e dei critici)”.

Un discorso a parte, se pur breve e solamente abbozzato, meritano alcuni film la cui utilizzazione impropria del contesto, rende opere di comicità propriamente fascistoide. Uno dei casi forse più evidenti è quello de La vita è bella di Roberto Benigni in cui il contesto viene completamente banalizzato e strumentalizzato ai fini di una risata leggera e semplificante. Non a caso, dopo l’Oscar al film, la comunità intellettuale ebraica di New York ha fortemente criticato la “catarsi bizzarra” del film, come riporta Luttazzi, e la “strumentalizzazione della tragedia dell’olocausto” utilizzata come sfondo drammatico per una narrazione famigliare e sentimentalistica.

Un discorso a parte, se pur breve e solamente abbozzato, meritano alcuni film la cui utilizzazione impropria del contesto, rende opere di comicità propriamente fascistoide. Uno dei casi forse più evidenti è quello de La vita è bella di Roberto Benigni in cui il contesto viene completamente banalizzato e strumentalizzato ai fini di una risata leggera e semplificante. Non a caso, dopo l’Oscar al film, la comunità intellettuale ebraica di New York ha fortemente criticato la “catarsi bizzarra” del film, come riporta Luttazzi, e la “strumentalizzazione della tragedia dell’olocausto” utilizzata come sfondo drammatico per una narrazione famigliare e sentimentalistica.


Frammenti

Dal breve percorso che qui proponiamo, attraverso frammenti di interviste e scritti, è possibile ricavare il parziale profilo d’artista di Leo De Berardinis; che fu lucidamente consapevole del proprio tempo e del fardello che esso gli consegnava. Senza fare sconti né a sé né al proprio pubblico, le sue parole ci restituiscono il senso dell’incessante lavorio e la consapevolezza della complessità e contraddittorietà della condizione dell’arte e dell’artista moderni non arresi all’esistente. A cura di Silvia Iracà
Come tutti gli artisti che vivono con intelligenza e altissima coscienza la propria condizione di “alterità” 
nel mondo in cui si trovano a operare, anche Leo De Berardinis ci ha lasciato testimonianza della 
tensione di cui si sostanziava la sua urgenza etico-estetica. Proponiamo qui alcuni frammenti di quella 
sua tagliente lucidità sulla contemporaneità, motore e “dannazione” di un fare artistico sostenuto
dalla coscienza, rabbiosa e sofferta, dell’ineluttabilità del compromesso e del fallimento a cui va incontro
l’utopia in assenza di una società in grado di accoglierne la sfida; una contraddizione che ha segnato
l’artista soprattutto nel primo ventennio di pratica della scena, accompagnato e “pungolato” dalla presenza
di una compagna d’eccezione come Perla Peragallo.

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Leo De Berardinis, Annabel Lee (1982)

Leo De Berardinis in camerino

Quentin Tarantino. Pulp fiction. Se il critico non critica

È uscita in libreria la monografia dedicata a Pulp Fiction di Alberto Morsiani. L’Asino vola ospita volentieri la recensione al libro di uno studente della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino. Di Enrico Pili

La monografia Quentin Tarantino. Pulp Fiction di Alberto Morsiani è l’ennesimo elogio a Pulp Fiction (1994):
film moralista, prepotentemente conformista, e frutto maturo di quel naturalismo aggiornato all’estetica postmoderna. Ma il libro di Morsiani ci pone anche di fronte alla tendenza di certa critica a rinunciare a determinare il valore dell’opera di fronte a cui si pone – per usare un’espressione di Ezra Pound – limitandosi 
di fatto ad assecondare il gusto dominante.

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La direzione degli attori. Dalla parte del regista ma non solo.

Il volume Azione! Come i grandi registi dirigono gli attori, a cura di Paolo Bertetto, affronta l’interessante questione del rapporto tra regia e recitazione. Di Mariapaola Pierini
L’attore cinematografico, per molto tempo relegato in secondo piano o del tutto ignorato in ambito
scientifico, è tornato da qualche tempo a interessare gli studiosi e i critici.
Agli attori vengono dedicati numeri speciali di riviste, volumi, convegni, collane editoriali: il panorama
è ricco e variegato, a dimostrazione che il lavoro dell’attore è diventato finalmente oggetto di analisi,
terreno di discussione e di studio. ù
Il volume curato da Paolo Bertetto si colloca a pieno titolo in questo contesto, affrontando il “problema 
dell’attore” dalla prospettiva del regista.
Benché la “direzione degli attori” sia un processo difficilmente indagabile, di cui non vediamo che il
risultato ultimo, di cui percepiamo l’effetto ma fatichiamo a ritrovare le cause, un discorso sulla direzione
degli attori non solo è possibile ma, come dimostra il libro in oggetto, è anche una chiave per dare
il giusto rilievo alla pragmatica del set e al ruolo svolto dall’attore nella complessa articolazione della
messa in scena.

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Il nichilismo e i giovani di Umberto Galimberti: quando l’ospite più che inquietare chiede la resa

Un grande successo editoriale, una riflessione sulla condizione giovanile contemporanea che
invita alla resa e al ripiegamento su se stessi, rimuovendo le cause (e le prospettive) di un malessere reale.
 Di Donatella Orecchia
Fra divulgazione scientifica e intervento sull’attualità, il libro di Galimberti è l’espressione di un pensiero
che chiede ai giovani, e con loro all’intera società, la resa all’individualismo, alla deresponsabilizzazione
verso la storia collettiva e personale. Una descrizione apparentemente realistica e cruda del malessere
giovanile che, privata dei riferimenti alle radici storiche, alle ragioni economiche e alle responsabilità 
politiche, cela le contraddizioni del presente e nega ogni prospettiva al cambiamento.

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“Contro il ’68”. Un pamphlet di Alessandro Bertante riapre la discussione sulla contestazione giovanile

A quasi quarant’anni dal sessantotto, la stagione del “movimento” merita ancora un supplemento d’indagine. Di Armando Petrini
Il libro di Bertante è uno scritto molto interessante, forse non in tutte le sue parti ugualmente condivisibile, 
ma comunque capace di toccare alcuni nervi scoperti del sessantotto e soprattutto della sua complessa 
e pesante eredità. Particolarmente convincente ci pare l’assunto di fondo del saggio, che coincide poi con 
una interpretazione complessiva della contestazione giovanile.
Il sessantotto non sarebbe, da questo punto di vista, l’ultima grande fiammata rivoluzionaria del Novecento, 
la cui sconfitta avrebbe determinato quel “ritorno all’ordine” affermatosi poi negli anni ottanta e novanta. 
Al contrario, il sessantotto coinciderebbe in realtà proprio con l’avvio contraddittorio di una forma di 
“antipolitica” che giungerà a maturazione solo con i primi anni Ottanta: il 68 dunque paradossalmente inaugurerebbe il “ritorno all’ordine” che sfocerà poi, più avanti, nell’epoca postmoderna. 

Già Peppino Ortoleva, nel ventennale del sessantotto, scriveva che “uno degli aspetti più enigmatici 
dell’intero ’68″ andrebbe individuato nell’”intreccio complessivo fra spinte politiche e spinte antipolitiche”.

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