Ricordo di Ugo Tognazzi

Dal 3 al 13 novembre 2005, a quindici anni dalla morte, il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha dedicato a Ugo Tognazzi una scelta di pellicole tra le numerosissime (circa centocinquanta) che, tra gli anni ’60 e la fine degli ’80, ne portarono alla luce l’interessante e originale poetica d’attore. Di Silvia Iracà
L’omaggio Tutti per-UGO-per tutti ha presentato quindici film che, per volere dei curatori, testimoniano il periodo di affermazione di Tognazzi presso la critica, tralasciando le numerose commedie “leggere” girate dal ’50 a tutta la metà dei ’60 e l’ultimo decennio di attività (1981-1990). La scelta, quindi, ha percorso l’arco temporale e artistico che va dal Federale di Luciano Salce, pellicola che vide l’attore esordire nel suo primo personaggio “amaramente” comico per giungere fino alla Tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci (1981) film che consacrò la grandezza dell’attore con la Palma d’Oro a Cannes.

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Nella posa tra l’ebete e il tronfio data dal mento e dal labbro inferiore rivolti leggermente all’insù, Ugo Tognazzi parodia l’ingenua e incosciente fierezza del fascista Primo Arcovazzi, protagonista del Federale di Luciano Salce (1961). L’attore transita continuamente dentro e fuori il personaggio, giocando abilmente tra partecipazione emotiva e distacco critico. Il fascista naïf diviene così una sorta di rude Charlot alle prese con la Storia, buffo e patetico ad un tempo, la cui presa di coscienza giungerà quando ormai la tragedia sarà ineluttabilmente compiuta.

In Porcile di Pier Paolo Pasolini (1969) Ugo Tognazzi, Alberto Lionello e Marco Ferreri impersonano tre ex gerarchi nazisti ora dirigenti della grande borghesia tedesca post-bellica. Dall’immagine salta subito agli occhi la carica grottesca comune alle espressioni dei tre, moderni clown in abito elegante: se in Lionello (le cui sembianze rimandano esplicitamente al Führer) il cinismo traspare da modi più sornioni e leccati, in Ferreri emerge dalla subdola cerimoniosità, mentre in Tognazzi si manifesta con toni irriverenti e parossistici.

Ugo Tognazzi, il giudice Mariano Bonifazi in In nome del popolo italiano di Dino Risi (1971), è qui quasi figura astratta nella rigidità del doppiopetto, incorniciato da una barba che esalta, più che nascondere, i tratti salienti di quel volto meditabondo e impenetrabile ma penetrante. Questa sua fissità rende ancor più eccessiva la prosopopea gigiona e compiaciuta della recitazione di Vittorio Gassman tutta sopra le righe. È facile scorgere, dietro la finzione, il gustoso scambio di ammicchi ironici tra i due attori, vero e proprio agone mimico e retorico.

Viva Zapatero! Rudimenti di contestazione nel tempo della censura.

Un film importante, anche se non privo di qualche ambiguità, che segnala quanto sia ancora embrionale la rinascita di uno spirito critico. Di Chiara Delmastro e Armando Petrini Sabina Guzzanti, cacciata dalla televisione in seguito alle vicende di Raiot, ricostruisce in un film-documentario alcuni noti episodi di censura.
La satira della Guzzanti è arguta, spesso efficace, eppure mostra il suo limite più forte nella incapacità di spingere la lama davvero fino in fondo e di giungere così al cuore del problema, che non è tanto la particolare declinazione attuale del potere (quella berlusconiana), ma il significato stesso del potere in una società capitalistica.

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