Appunti metodologici. A partire da un’affermazione di Carlo Cecchi su Carmelo Bene

A partire da un’elaborazione critica di Carlo Cecchi sul Carmelo Bene degli anni sessanta, l’articolo propone una riflessione metodologica esemplificata sull’opera di CB. Di Gigi Livio

L’operare di un artista, soprattutto se si tratta di un operare che si estende nel tempo, conosce varie fasi
cui è corretto attribuire il valore che hanno (e che meritano). Il pensiero postmoderno, decretando
la “fine della storia”, ha privato, oltre al resto, la critica delle opere dell’arte di questo spessore. L’articolo
intende riprendere, e riprendendo proporre in modo diverso, ipotesi esegetiche che, per altro, non
sono spesso rintracciabili nella critica; e, tanto meno, in quella che si occupa, a vario titolo, di teatro.

PDF

Uno dei tratti stilistici che caratterizzano la recitazione di Carmelo Bene negli anni sessanta (queste fotografie sono del Pinocchio del 1966) è la rabbia, una rabbia impotente e che si risolve in grottesco nel momento in cui esprime contemporaneamente una commistione di sfogo contro un teatro (e un mondo) dove l’arte non sembra più possibile e l’impotenza data dall’inutilità dell’espressione di questa impotenza: non importerà niente e a nessuno in un teatro e in un mondo conformati alla richiesta del pubblico che vuole distrarsi e divertirsi, magari fingendo, senza sapere di fingere, di partecipare a eventi culturalmente alti. Queste due fotografie mostrano proprio la maschera di CB che esprime questo sentimento estetico, che è soprattutto morale, in modo altissimo sia da un punto di vista stilistico-formale che da quello di una profonda elaborazione di questo sentimento che coinvolge, oltre al protagonista, lo spettacolo tutto.

Uno dei tratti stilistici che caratterizzano la recitazione di Carmelo Bene negli anni sessanta (queste fotografie sono del Pinocchio del 1966) è la rabbia, una rabbia impotente e che si risolve in grottesco nel momento in cui esprime contemporaneamente una commistione di sfogo contro un teatro (e un mondo) dove l’arte non sembra più possibile e l’impotenza data dall’inutilità dell’espressione di questa impotenza: non importerà niente e a nessuno in un teatro e in un mondo conformati alla richiesta del pubblico che vuole distrarsi e divertirsi, magari fingendo, senza sapere di fingere, di partecipare a eventi culturalmente alti. Queste due fotografie mostrano proprio la maschera di CB che esprime questo sentimento estetico, che è soprattutto morale, in modo altissimo sia da un punto di vista stilistico-formale che da quello di una profonda elaborazione di questo sentimento che coinvolge, oltre al protagonista, lo spettacolo tutto.

Il futurismo di Majakovskij

Nel centenario della nascita del futurismo, vale la pena soffermarsi su uno scritto di Majakovskij che evidenzia alcuni aspetti della diversità fra il futurismo italiano e quello russo. Di Armando Petrini
In occasione del centenario del futurismo vorremmo richiamare l’attenzione sul futurismo russo, e sulla
figura di Majakovskij in particolare. Spesso dimenticato, e poco tenuto in conto nella valutazione
del fenomeno nel suo complesso, il movimento che nasce in Russia, pur mantenendo diversi punti di
contatto con il percorso di Marinetti (soprattutto sul piano della ricerca formale), rivela anche decisivi
elementi di diversità.

PDF

Vladimir Vladimirovič Majakovskij (Bagdadi, Georgia, 7 luglio 1893 – Mosca, 14 aprile 1930)

Vladimir Vladimirovič Majakovskij (Bagdadi, Georgia, 7 luglio 1893 – Mosca, 14 aprile 1930)