Un particolarissimo montaggio autobiografico di Paolo Poli

Einaudi ha recentemente pubblicato un libro di Paolo Poli, curato da Luca Scarlini, intitolato Alfabeto Poli. Proprio dal libro è scaturito un pensiero, apparentemente privo di nesso logico, che permette però di accostare Carmelo Bene a Paolo Poli. Di Ariela Stingi

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Paolo Poli, al centro, e la sua compagnia nello spettacolo Aquiloni. Nell’immagine possiamo notare le scenografie e i costumi tutt’altro che sobri e minimalisti. Alla voce Teatro, infatti, troviamo: “[…] del teatro mi piace che non sia realistico ma convenzionale: il cartone dipinto sventolante è il suo emblema. Meglio un fondalino dipinto di qualunque paesaggio delle Alpi. Questa bella polvere, questa benefica aria fetida. E chi mi ha mai visto in montagna? Io adoro l’aria dei paesaggi finti capaci di allargare l’occhio, oltre che i polmoni.”

Paolo Poli nello spettacolo Il Mare del 2010. Poli è stato, come egli stesso scrive, uno tra i primi a recitare tutto uno spettacolo vestito da donna, una scelta stilistica che ha mantenuto in molti dei suoi lavori facendone così un segno distintivo di ogni spettacolo.

La politica culturale degli uomini dei monumenti

Monuments Men, prodotto, diretto e interpretato da George Clooney, spinge a riflettere sul sempre attuale problema della cultura museale. Di Enrico A. Pili

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Nel film si ipotizza che il Ritratto di giovane uomo di Raffaello sia stato distrutto dai nazisti verso la fine della guerra. Nella scena che mostra alcuni soldati intenti a bruciarlo assieme ad altri quadri la macchina da presa si avvicina all’opera, così che il giovane uomo ritratto sembra “guardare in macchina” mentre il quadro brucia. La scena riprende l’esordio del film: la primissima sequenza mostra infatti un dettaglio degli occhi di uno dei personaggi del polittico di Gand di van Dick, occhi che sembrano guardare in macchina e appellarsi alla platea del cinema, come a chiedere il suo aiuto.
Lo stratagemma utilizzato da Clooney per dire allo spettatore che i quadri sono testimonianza viva della nostra storia è quindi quello dell’antropomorfizzazione del prodotto artistico, che invoca il nostro aiuto mentre i barbari lo distruggono. La controindicazione di un simile trattamento della storia potrebbe consistere nel fatto che invocare la pietà e la commozione dello spettatore verso il suo simile, in questo caso allo scopo di spingerlo all’azione contro la rimozione della memoria, significa fare leva sui suoi istinti e non sulla sua capacità critica, in una maniera che inibisce ogni possibilità di una riflessione dialettica, e quindi seria, sulla storia.