L’eredità del postmoderno secondo Luperini

La fine del postmoderno di Romano Luperini raccoglie alcuni suoi saggi legati tra loro dalla riflessione sulla crisi culturale e sociale in atto, sulla latitanza degli intellettuali e sulla necessità di riaffermare un pensiero critico “forte” Di Silvia Iracà
Nei contributi raccolti nella Fine del postmoderno Luperini esprime con lucidità, in uno stile sobrio e lineare, la sua visione della contemporaneità fornendo non solo elementi di interpretazione della crisi culturale sociale politica e economica in atto, ma suggerimenti per un ripensamento dell’etica nella direzione di una sua effettiva rifondazione.

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Romano Luperini, La fine del postmoderno, Napoli, Guida, 2005, pp. 129

Romano Luperini (1940) è ordinario di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea dal 1980 e insegna attualmente Letteratura italiana presso l’Università degli studi di Siena. È anche professore aggiunto all’University of Toronto, Canada. Dirige le riviste di teoria e di critica della letteratura “Allegoria” e “Moderna”. Tra le sue pubblicazioni recenti: Breviario di critica (2002); PirandelloStoria di MontaleVerga modernoL’autocoscienza del moderno (2005).

Morganti-Beckett; e un doveroso accenno a Rem & Cap

L’amara sorte del servo Gigi di Claudio Morganti verrà presentato al teatro Milanollo di Savigliano la sera del 28 marzo 2006. Di Gigi Livio
Claudio Morganti, costretto a reinventarsi un testo dopo il diniego da parte degli eredi alla rappresentazione dell’Ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, scrive e recita L’amara sorte del servo Gigi che è un geniale ricalco del testo beckettiano. Straordinaria la recitazione di Morganti che riesce a coniugare tragico e comico in modo assolutamente originale sfruttando con maestria una voce, un volto e un corpo che sanno tendere al patetico-drammatico e rovesciarlo nello sberleffo irridente, ma senza gioia e con cupa disperazione. È l’arte teatrale dei nostri giorni ben al di là dell’orpellata società dello spettacolo quale si vede anche, in questi giorni, nella Torino olimpica.

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Dopo aver recitato con Carlo Cecchi, Alfonso Santagata (a sinistra) e Claudio Morganti formano una compagnia che immediatamente si distingue, all’interno del teatro cosiddetto di sperimentazione, per una sua cifra particolare che sa coniugare il grottesco al drammatico portando avanti un discorso che intende contraddire il teatro così com’è e così come ci è stato tramandato da una tradizione antica. Ma, nel fare questo, Santagata-Morganti non rinunciano alla storia del grande attore che vive soprattutto in Morganti e nelle sua eccezionale capacità di divenire teatro.



Morganti inizia poi un percorso autonomo: è questa una fotografia di scena di Serata di gala. Omaggio a Pinter, 2003. Vediamo qui la grande capacità dell’attore nell’usare il corpo e il volto in funzione del risultato artistico che intende ottenere. Irridente e irrisore, ma soprattutto di se stesso, nel proporsi in una posa, in un gesto e in un’espressione mimica che forza i limiti del naturalismo in senso grottesco.

È questa una fotografia di scena dell’Amara sorte del servo Gigi: Morganti, truccato da vecchio, ascolta i nastri registrati di un se stesso di molti anni prima. Il volto contratto nell’attenzione, ma anche nella rabbia per ciò che quel sé ora estraneo a sé sta dicendo, esprime in modo profondo e ricco il dramma della vecchiaia in un mondo che quella stagione della vita non sa più considerare in modo stoico, ma, appunto, solo con rabbia e desolazione.