Un particolarissimo montaggio autobiografico di Paolo Poli

Einaudi ha recentemente pubblicato un libro di Paolo Poli, curato da Luca Scarlini, intitolato Alfabeto Poli. Proprio dal libro è scaturito un pensiero, apparentemente privo di nesso logico, che permette però di accostare Carmelo Bene a Paolo Poli. Di Ariela Stingi

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Paolo Poli, al centro, e la sua compagnia nello spettacolo Aquiloni. Nell’immagine possiamo notare le scenografie e i costumi tutt’altro che sobri e minimalisti. Alla voce Teatro, infatti, troviamo: “[…] del teatro mi piace che non sia realistico ma convenzionale: il cartone dipinto sventolante è il suo emblema. Meglio un fondalino dipinto di qualunque paesaggio delle Alpi. Questa bella polvere, questa benefica aria fetida. E chi mi ha mai visto in montagna? Io adoro l’aria dei paesaggi finti capaci di allargare l’occhio, oltre che i polmoni.”

Paolo Poli nello spettacolo Il Mare del 2010. Poli è stato, come egli stesso scrive, uno tra i primi a recitare tutto uno spettacolo vestito da donna, una scelta stilistica che ha mantenuto in molti dei suoi lavori facendone così un segno distintivo di ogni spettacolo.

Morte di un intellettuale che era anche un organizzatore teatrale

L’organizzazione teatrale è qualcosa di molto delicato che influisce sul valore delle “produzioni” teatrali o, meglio, come scrive Gramsci “l’organizzazione pratica del teatro è nel suo insieme un mezzo di espressione artistica”. Edoardo Fadini, morto in dicembre, è stato un organizzatore di particolare valore. Le righe che seguono intendono mettere in luce il nucleo profondo di questo valore. Di Gigi Livio

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Questa immagine si riferisce a un momento di uno spettacolo di Leo De Berardinis e Perla Peragallo. Torino non avrebbe mai conosciuto questa coppia formidabile di teatranti non fosse stato per Edoardo Fadini che li portò in questa città e un po’ per tutta l’Italia. Qui vediamo l’intensità stilistica di Perla attrice -era anche regista e creatrice con Leo dei loro spettacoli- che fu unica a questa altezza di tutta l’avanguardia italiana degli anni sessanta e settanta. La tragedia, nel tempo dell’impossibilità del tragico, non può essere resa che col suo rovescio: in questo Perla Peragallo fu eccezionale, con la sua voce appassionata e straziata e i suoi movimenti scomposti ma che seguivano una linea stilistica ben precisa.

Elogio di Claudio Remondi, poeta del teatro

A febbraio è morto Claudio Remondi. Il suo operare teatrale può venire sintetizzato nell’affermare che fu, insieme al suo compagno d’arte Riccardo Caporossi, un “poeta del teatro”. Non è possibile dire in poche parole cosa questa definizione significhi, ma l’articolo si impegna a cercare di spiegarlo. Di Gigi Livio

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Il Fringe, il teatro di strada e un’occasione mancata dal pubblico

In maggio si è svolto a Torino il Fringe Festival. In strada si sono esibiti diversi gruppi di variati e variegati spettacoli. L’articolo prende in considerazione il così detto “teatro di strada” e, attraverso due esempi, cerca di indagare le reazioni del pubblico di fronte a due esibizioni di diverso livello tecnico. Di Ariela Stingi

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Gould il lupo. Antagonismo in forma di contrappunto

Il radiodramma in concerto di Monica Luccisano invera sulla scena del Teatro Baretti di Torino l’hölderiana unità del colloquio – nel senso dato da Heidegger – fra Glenn Gould e Arnold Schönberg, “in tal modo che”, nella dissonanza della polifonia e cioè nella negazione dell’unità, si “rende possibile l’incontro” e l’esperienza di un autentico ascolto. Di Letizia Gatti

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I numerosi programmi radiofonici realizzati da Glenn Gould per la Canadian Broadcasting Corporation (CBC), negli anni Sessanta e Settanta, hanno come motivo dominante il tema della solitudine e dell’isolamento. Si pensi in particolare a The Idea of NorthThe LatecomersThe Quiet in the Land, “radiodrammi in forma di contrappunto”, conosciuti poi sotto il titolo unico di Solitude Trilogy.

Jonathan Cott Consideriamo l’idea della radio come metafora della solitudine. […] Perché pensi di essere tanto interessato a questo medium introspettivo?
Glenn Goud[…] Non so quale dovrebbe essere l’esatto rapporto, ma ho sempre avuto l’impressione che, per ogni ora trascorsa in compagnia di altri esseri umani, si ha bisogno di x ore da soli. Ora, che cosa questa x rappresenti, davvero io non lo so; potrebbe essere 2 e 7/8 o 7 e 2/8, ma si tratta comunque di un rapporto sostanziale. La radio, comunque, è sempre stata un medium con cui fin da bambino ho avuto rapporti stretti, ascoltandola praticamente ininterrottamente: mi spiego, per me è una specie di sottofondo – io dormo con la radio accesa, anzi non riesco a dormire senza la radio, specie da quando ho smesso di prendere il Nembutal [ride].

Jonathan Cott
 Consideriamo l’idea della radio come metafora della solitudine. […] Perché pensi di essere tanto interessato a questo medium introspettivo?
Glenn Goud[…] Non so quale dovrebbe essere l’esatto rapporto, ma ho sempre avuto l’impressione che, per ogni ora trascorsa in compagnia di altri esseri umani, si ha bisogno di x ore da soli. Ora, che cosa questa x rappresenti, davvero io non lo so; potrebbe essere 2 e 7/8 o 7 e 2/8, ma si tratta comunque di un rapporto sostanziale. La radio, comunque, è sempre stata un medium con cui fin da bambino ho avuto rapporti stretti, ascoltandola praticamente ininterrottamente: mi spiego, per me è una specie di sottofondo – io dormo con la radio accesa, anzi non riesco a dormire senza la radio, specie da quando ho smesso di prendere il Nembutal [ride].



Brevi note sull’Amleto di Malosti

L’Amleto di Malosti è uno spettacolo interessante e ricco di spunti per il critico. Propongo qui alcune brevi riflessioni su ciò che ho visto soffermandomi soprattutto sulla recitazione dell’attore-regista. Di Gigi Livio

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Valter Malosti, ormai giunto alla sua maturità d’attore, recita in modo interessante tanto da poter essere iscritto alla modalità del “naturalismo critico”. Si colloca cioè in quell’area dello stile della recitazione non arreso al naturalismo imperante e, dunque, frequentante una declinazione di questo modo di essere sul palcoscenico in modo tale da lasciare spazio all’intervento critico dello spettatore.

Frammenti di un discorso sull’attore: Lorena Senestro

È ancora possibile oggi, dopo la forzata liquidazione dell’avanguardia degli anni sessanta e settanta, che si possa trovare sulla scena italiana un modo di recitare non naturalistico? Lorena Senestro, giovane attrice piemontese, responsabile con il regista Massimo Betti Merlin del Teatro della Caduta di Torino, ci dà prova, insieme a pochissimi altri, del fatto che una recitazione di questo tipo è ancora frequentabile e con notevole vantaggio dell’arte teatrale. Di Gigi Livio

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La fotografia teatrale è diversa dalla riproduzione di un fotogramma di un film. Nel secondo caso si può vedere l’opera del regista grazie all’analisi dell’inquadratura, delle luci, dell’espressione dell’attore, eccetera. Nel primo abbiamo invece un’immagine “morta” perché ferma un frammento di vita scenica proprio come succede nelle fotografie di tutti i giorni. Per cui è difficile delegare il compito di illustrare qualche concetto dell’articolo su Lorena Senestro a queste due immagini. È però possibile trarre da queste qualche suggestione. Nella prima vediamo l’attrice in un atteggiamento che potremmo definire “normale” non fosse per gli occhi che trasmettono l’idea di una presa di posizione critica su ciò che sta dicendo. Da notare è non soltanto il fatto che gli occhi sono socchiusi ma la luce penetrante e pensosa che ne promana. Nella seconda immagine è evidente ciò che si dice nell’articolo a proposito del corpo atteggiato in modo non naturale. Anche qui il volto si accentra negli occhi da cui questa volta promana una luce decisamente ironica. Questo modo di impostare gli occhi è perfettamente contestuale con l’atteggiamento tutto del volto e in modo particolare della bocca teso a ottenere il risultato di una garbata parodia della coquetterie.

La fotografia teatrale è diversa dalla riproduzione di un fotogramma di un film. Nel secondo caso si può vedere l’opera del regista grazie all’analisi dell’inquadratura, delle luci, dell’espressione dell’attore, eccetera. Nel primo abbiamo invece un’immagine “morta” perché ferma un frammento di vita scenica proprio come succede nelle fotografie di tutti i giorni. Per cui è difficile delegare il compito di illustrare qualche concetto dell’articolo su Lorena Senestro a queste due immagini. È però possibile trarre da queste qualche suggestione. Nella prima vediamo l’attrice in un atteggiamento che potremmo definire “normale” non fosse per gli occhi che trasmettono l’idea di una presa di posizione critica su ciò che sta dicendo. Da notare è non soltanto il fatto che gli occhi sono socchiusi ma la luce penetrante e pensosa che ne promana. Nella seconda immagine è evidente ciò che si dice nell’articolo a proposito del corpo atteggiato in modo non naturale. Anche qui il volto si accentra negli occhi da cui questa volta promana una luce decisamente ironica. Questo modo di impostare gli occhi è perfettamente contestuale con l’atteggiamento tutto del volto e in modo particolare della bocca teso a ottenere il risultato di una garbata parodia della coquetterie.

Carlo Cecchi in Abbastanza sbronzo per dire ti amo? e Prodotto al teatro Gobetti di Torino

L’ultimo spettacolo di Carlo Cecchi è certamente interessante grazie alle virtù artistiche dell’attore-regista, che ha scovato due testi tali da permettergli di applicare il suo caratteristico modo di recitare a un livello decisamente alto. Di Ariela Stingi

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Carlo Cecchi, in Prodotto di Ravenhill, nella parte del regista intento nel raccontare all’attrice, seduta di fronte a lui, l’idea per il suo nuovo film. A proposito della caratteristica gestualità, in questa fotografia molto bene evidenziata, è da sottolineare che il profondo lavoro di Cecchi su se stesso attore gli mette a disposizione uno strumento particolarmente adatto a quel suo modo di allontanare le battute che pronuncia come volesse ‘giudicarle’ mentre le dice. E questo è il nòcciolo dello straniamento vero realizzato ad altissimo livello artistico.

Tommaso Ragno e Carlo Cecchi nella commedia Abbastanza sbronzo per dire ti amo?. I due attori interpretano una coppia di amanti, sostenendo il loro ruolo per tutta la durata dell’opera, senza mai scadere in volgari e scontati cliché.

Venere e Adone nel riadattamento di Valter Malosti

Valter Malosti, attore regista, inscena Venere e Adone di Shakespeare in un modo particolare: rifacendosi anche alle ambiguità del teatro elisabettiano, in cui i ruoli femminili erano recitati da ragazzi, si incarica di portare sulla scena egli stesso Venere con un Adone muto di giovanile prestanza. Di Ariela Stingi

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Valter Malosti nei panni del narratore e di Venere. Apprezzabile la scelta di non marcare troppo il trucco femminile, evitando, almeno in questo dettaglio, di scadere nel ridicolo e nel grottesco.

Adone per tutto lo spettacolo sarà una marionetta nelle mani di Venere; il suo cercare di opporsi alle soffocanti attenzioni della dea aumenterà solamente il delirio di quest’ultima.