Lavoro e valore

La crisi economica fa vacillare uno dei cardini del tardo capitalismo, il disaccoppiamento tra valore dei beni e lavoro necessario per crearli, operazione sottilmente e occultamente ideologica. Proprio la (ri)proposizione di una formula per la determinazione del valore dei beni, con il discorso ideologico palese che sottende, potrebbe fornire una guida per l’uscita dalla crisi, non solo economica, in cui la società è caduta. Di Claudio Deiro

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La voix humaine di Ivo van Hove. Alla drammaturgia manca il grande attore, all’attore manca una grande drammaturgia.

Qualche appunto sullo spettacolo del regista belga presentato in prima nazionale a Torino in occasione della rassegna teatrale Prospettiva, dedicata quest’anno alle dinamiche del doppio.
Di Letizia Gatti

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Cocteau concepì la sua “tragedye lyrique” come pensandola già musicata. Il suo amico e collaboratore Francois Poulenc ne musicò il testo affidando il ruolo femminile a Denise Duval. La prima ebbe luogo all’Opera Comique di Parigi il 6 febbraio 1959, sotto la direzione di Georges Prêtre. La Duval fu protagonista inoltre del film omonimo diretto da Dominique Delouche nel 1970. Una pellicola in bianco e nero in cui la Duval è ripresa da diverse angolature mentre squaderna lo strazio della perdita camminando su e giù in una camera da letto (Nella foto la locandina del film così come appare nell’edizione in DVD)

La voix humaine di Ivo van Hove non convince ma alcune scelte autoriali riguardanti la scenografia e l’uso della luce sono interessanti. (Lo stesso non si può dire della colonna sonora, pastiche postmoderno che spazia da Paul Simon a Beyonce – eccezion fatta per il sapiente uso del sottofondo metropolitano nei momenti in cui la donna si affaccia alla finestra). La vetrata, usata per appendere una scritta recante l’implorazione “come home” e aperta per pochi minuti sul finale della piéce, segna il confine di separazione tra palcoscenico e platea, tra attore e pubblico. Lo spettatore è il voyeur di una “scena del delitto”, come definì Cocteau questo viaggio nell’autopsia dei sentimenti umani. Nello spettacolo di Ivo van Hove la luce e la scena minimale accentuano l’atmosfera da obitorio. Diversamente dalla maggior parte dei precedenti teatrali, operistici e cinematografici la scena si presenta spoglia: il rettangolo di luce illumina una stanza completamente vuota, alimentandone la percezione di soffocamento. Il finale di van Hove è una licenza poetica: la protagonista attacca il telefono e apre la vetrata. La musica esplode in un climax ascendente. Le luci si spengono nell’istante in cui la Reijn si sporge dal parapetto, apre le braccia e si lancia nel vuoto – fotografia di un corpo di berniniana memoria, colto nell’attimo in cui si-sta-per.