Futurismo

Il centenario della pubblicazione del Manifesto di fondazione del futurismo (20 febbraio 1909) 
ha offerto lo spunto a una serie di celebrazioni. Sembra necessario, in questa occasione, iniziare a porre alcuni punti di discussione sul problema.
 Di Gigi Livio
Il centenario del futurismo viene celebrato in vari luoghi con articoli e mostre. Ma quale può essere oggi
l’interesse per quel movimento che vada al di là dell’uso che ne fa l’industria culturale?
Il futurismo italiano risulta ancora un problema da approfondire al di là delle varie mode dei vari momenti
storici. L’occasione è dunque opportuna per poter porre alcuni interrogativi su quel movimento e sul problema dell’avanguardia, oggi assai vivo proprio perché volutamene accantonato dal pensiero postmoderno.

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La prima delle due illustrazioni è la fotografia di una scultura di Umberto Boccioni dal titolo Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912) e la seconda una riproduzione della prima pagina di Zang tumb tuuum Adrianopoli ottobre 1912 parole in libertà di Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato dalle Edizioni futuriste di “Poesia”, nel 1914. Le due illustrazioni, pur riproducendo opere che appartengono a generi artistici diversi e che risultano di valore artistico non certo uguale, mostrano però la volontà comune dello scultore e dello scrittore di cercare di esprimere attraverso nuove forme le esigenze di quegli artisti che intendono abbandonare un passato ormai stanco e sfibrato e aprirsi nei loro lavori alla novità dell’epoca storica in cui si realizzano.

La prima delle due illustrazioni è la fotografia di una scultura di Umberto Boccioni dal titolo Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912) e la seconda una riproduzione della prima pagina di Zang tumb tuuum Adrianopoli ottobre 1912 parole in libertà di Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato dalle Edizioni futuriste di “Poesia”, nel 1914. Le due illustrazioni, pur riproducendo opere che appartengono a generi artistici diversi e che risultano di valore artistico non certo uguale, mostrano però la volontà comune dello scultore e dello scrittore di cercare di esprimere attraverso nuove forme le esigenze di quegli artisti che intendono abbandonare un passato ormai stanco e sfibrato e aprirsi nei loro lavori alla novità dell’epoca storica in cui si realizzano.

W: un soufflé di storia e politica, condito da molta psicologia e servito in salsa statunitense, per far lievitare “un’ esistenza sottostimata”.

Il recente film biografico di Oliver Stone, incentrato sulla figura del presidente Bush, fornisce degli interessanti spunti di riflessione sulla tenenza delle pellicole biografiche a percorrere una strada non realistica che, in quanto tale, serve ben poco a mettere in luce un’ideologia di contraddizione.Di Chiara Delmastro

Allo scadere del secondo mandato di George Walker Bush, il regista Oliver Stone ha girato una pellicola 
dedicata all’ex presidente degli Stati Uniti, che vorrebbe porsi come una dura critica alla sua amministrazione 
– con particolare riferimento alla guerra in Iraq – e un’esplicita attribuzione di responsabilità della disastrosa situazione attuale; ma il lavoro – e in particolare la figura del protagonista – non esce dai banali confini di 
una superficiale e moralistica accusa, condita con abbondante e scontato psicologismo. Un esempio eccellente 
per mostrare il profondo divario esistente fra la semplice e inutile caricatura e la parodia corrosiva e crudele,
la sola che possa operare una critica autentica e profonda del potere.

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La locandina dell’ultimo lavoro di Oliver Stone, è particolarmente indicativa riguardo alla figura del protagonista, l’ex presidente degli Stati Uniti George Walker Bush. L’attore che lo interpreta, Josh Brolin, è ritratto seduto alla scrivania della Casa Bianca, con il viso affondato nelle mani; lo sguardo è rivolto in alto, e ha un che di scorato ma, al contempo, caparbio; la fronte è aggrottata, corrucciata in un’espressione che si potrebbe definire capricciosa, ostinata e insieme vacua. Nel complesso, l’immagine che la locandina ci rimanda è quella che Stone tratteggia nella pellicola: un uomo infantile, superficiale e collerico, vittima dei suoi complessi d’inferiorità, del suo desiderio di rivalsa e della sua scarsa intelligenza, circondato da uno staff cinico e manipolatore che usa a proprio vantaggio le debolezze del Presidente; queste debolezze, nella narrazione filmica, vanno a costruire un alibi, un vero e proprio castello di giustificazioni, alla scellerata politica dell’amministrazione Bush.

Oliver Stone impartisce istruzioni agli attori del cast che ricoprono i ruoli dei consiglieri del presidente degli Stati Uniti d’America. Come è evidente dalla foto, il regista si è avvalso di interpreti che vantano una notevole somiglianza fisica con i personaggi reali – è particolarmente evidente nel caso di Colin Powell, una vera copia a carbone dell’originale – in perfetta linea con la poetica naturalistica dominante nel cinema, e in particolare in quello nordamericano. Invece di adottare una linea realistica, costruendo dei personaggi che abbiano in loro dei tratti tipici stilizzati, onde ottenere una critica efficace e universale, Stone ha scelto di dar vita a figure piattamente naturalistiche – come nel caso di Condoleeza Rice – o a macchiette risibili – come il sinistro Dick Cheney -; in entrambe le declinazioni, laddove al realismo si preferisce il naturalismo, e al grottesco la caricatura, si perde totalmente ogni intento minimamente eversivo e autenticamente critico.