Giù le mani da Berlinguer

Durante la appena finita campagna elettorale si è sentito spesso citare il nome di Enrico Berlinguer, segretario del partito comunista ai tempi del “compromesso storico” e, più tardi, della “questione morale”. Un recentissimo libro di Gino Liguori, Berlinguer rivoluzionario. Il pensiero politico di un comunista democratico, edito da Carocci, ha permesso all’autore di questi appunti di soffermarsi brevemente sul problema di come si leggono il pensiero e l’azione di Berlinguer oggi e di tentare di metterne a fuoco alcuni aspetti. Di Gigi Livio

PDF

A proposito di Vite vendute di Henri-Georges Clouzot e Il salario della paura di William Friedkin

Il mese scorso, al cinema Massimo di Torino, è stato riproposto, in occasione del suo restauro, il film Il salario della paura (The Sorcerer, 1977) di William Friedkin. Il film è tratto dal libro Le Salaire de la peurdi Georges Arnaud, che aveva già ispirato, nel 1953, l’omonimo film di Henri-Georges Clouzot, arrivato in Italia con il titolo di Vite vendute. Di Enrico A. Pili

PDF

I due fotogrammi sono relativi ai momenti che precedono la morte dei protagonisti dei due film. Nel primo Montand mostra un ghigno felice e soddisfatto: i soldi ottenuti dalla compagnia petrolifera gli han fatto dimenticare gli amici morti (incluso Vanel, della cui morte si è reso responsabile) e gli fan sognare lussi da tempo dimenticati. Euforico, inscenerà alla guida del proprio camion una danza che lo porterà a precipitare da un dirupo. Clouzot ci mostra un mondo atroce nel quale i miserabili si fanno la guerra tra di loro per le briciole di pane che cadono dalla tavola imbandita degli sfruttatori. Yves Montand, sopravvissuto ai suoi simili che, come gli scarafaggi della prima sequenza del film, erano legati a lui da un filo che qualcun altro aveva legato, è finalmente libero di muoversi in libertà, ma è la libertà illusoria ed effimera di chi è rimasto uno sfruttato, uno “scarafaggio sociale”. Il secondo fotogramma ci mostra invece Roy Scheider, appena tornato a Las Piedras dopo la missione. Mentre i suoi compagni di tavolo gli parlano, il suo sguardo è assente e la macchina da presa va a stringere sul suo volto, isolandolo nella sua solitudine. Siamo di fronte al momento epifanico nel quale il nostro eroe comprende finalmente la vanità del tutto e decide di andare incontro a quella che, di lì a pochi secondi, sarà la sua morte per mano dei killer che un boss mafioso gli ha messo alle calcagna. Il messaggio è che il mondo e tutto ciò che vi accade non è un nostro problema: la violenza quotidiana che abbiamo sotto gli occhi e dentro di noi è un destino inalienabile. Non esistono rapporti di forza, non esiste la società o la cultura, non esistono nemmeno i nostri vicini, ma solo noi, chiusi in noi stessi di fronte a un destino avverso. Inutile dire che questa cinica visione del mondo è spesso uno degli alibi di chi cerca giustificazioni per la violenza che è lui stesso a praticare.

I due fotogrammi sono relativi ai momenti che precedono la morte dei protagonisti dei due film. Nel primo Montand mostra un ghigno felice e soddisfatto: i soldi ottenuti dalla compagnia petrolifera gli han fatto dimenticare gli amici morti (incluso Vanel, della cui morte si è reso responsabile) e gli fan sognare lussi da tempo dimenticati. Euforico, inscenerà alla guida del proprio camion una danza che lo porterà a precipitare da un dirupo. Clouzot ci mostra un mondo atroce nel quale i miserabili si fanno la guerra tra di loro per le briciole di pane che cadono dalla tavola imbandita degli sfruttatori. Yves Montand, sopravvissuto ai suoi simili che, come gli scarafaggi della prima sequenza del film, erano legati a lui da un filo che qualcun altro aveva legato, è finalmente libero di muoversi in libertà, ma è la libertà illusoria ed effimera di chi è rimasto uno sfruttato, uno “scarafaggio sociale”. Il secondo fotogramma ci mostra invece Roy Scheider, appena tornato a Las Piedras dopo la missione. Mentre i suoi compagni di tavolo gli parlano, il suo sguardo è assente e la macchina da presa va a stringere sul suo volto, isolandolo nella sua solitudine. Siamo di fronte al momento epifanico nel quale il nostro eroe comprende finalmente la vanità del tutto e decide di andare incontro a quella che, di lì a pochi secondi, sarà la sua morte per mano dei killer che un boss mafioso gli ha messo alle calcagna. Il messaggio è che il mondo e tutto ciò che vi accade non è un nostro problema: la violenza quotidiana che abbiamo sotto gli occhi e dentro di noi è un destino inalienabile. Non esistono rapporti di forza, non esiste la società o la cultura, non esistono nemmeno i nostri vicini, ma solo noi, chiusi in noi stessi di fronte a un destino avverso. Inutile dire che questa cinica visione del mondo è spesso uno degli alibi di chi cerca giustificazioni per la violenza che è lui stesso a praticare.