Dalla parte del pubblico di David Bruni

Il nuovo libro di David Bruni è un attento esame dell’attività di sceneggiatore di Aldo de Benedetti, protagonista, nel cinema e nel teatro, di una fase fondamentale della trasformazione della cultura popolare in Italia. Di Enrico A. Pili

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Tra le fotografie presenti nel testo vi è una immagine tratta da L’angelo bianco (1955) che raccoglie bene alcuni dei motivi principali del connubio De Benedetti-Matarazzo: innanzitutto l’attrice Yvonne Sanson, che in coppia con Amedeo Nazzari appare in molti dei loro film; poi vi è l’ombra proiettata dalle sbarre che, siano di un convento o di una prigione, sono sempre presenti a evocare simbolicamente la morsa terribile del destino avverso sulle vite degli umili; vi è infine l’abito monacale, simbolo dell’amore impossibile tra Guido-Nazzari e Luisa-Sanson, ormai convertitasi in Suor Addolorata, conversione che non è altro che uno dei tanti modi con cui il destino beffardo tormenta i giovani eroi di questi film.

Agli studenti, e agli insegnanti. Per «salvare anche loro da noia superflua».

La nuova edizione de L’ABC del leggere (1934) di Ezra Pound, saggio indirizzato a «chi desidera apprendere», ci invita a meditare sulla funzione sociale della didattica e sul compito, spesso misconosciuto, a cui è chiamata a rispondere la pedagogia. Di Letizia Gatti

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Testo fondamentale di critica letteraria, L’ABC del leggere di Ezra Pound fu pubblicato per la prima volta nel 1936; viene oggi riproposto da Garzanti per la collana Garzanti Novecento. Il saggio intende offrire a studenti e insegnanti e, più in generale, «a chi desidera apprendere» un manuale di «avviamento alla lettura». Tanto necessario quanto mai urgente in un tempo in cui, come afferma il grande poeta statunitense, «la cura e la riverenza per il libro come tale, propria di epoche nelle quali nessun libro veniva duplicato se qualche amanuense non si dava la pena di copiarlo, non si confà più, palesemente, ai “bisogni della società” o alla conservazione del sapere». È «indispensabile», allora, «strappare le erbacce se il Giardino delle Muse deve restare un giardino».

Romanzo di una strage: la storia dalla parte degli oppressori

L’ultimo film di Marco Tullio Giordana si prefigge l’arduo compito di narrare un episodio molto complesso della nostra storia semplificandone i fatti e riducendo i personaggi a caricature di se stessi. Dobbiamo constatare che il compito è fallito. Di Enrico A. Pili

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In alto a destra sulla locandina del film leggiamo la suddetta scritta. Non sappiamo a quale corrente filosofica aderisca l’autore del manifesto, se al New Realism o a uno dei vecchi realismi novecenteschi, certo però salta all’occhio l’ingenuità dell’affermazione, che sembra dirci: «Sappiamo che una bomba è esplosa a una certa ora: se la bomba è vera allora quello che vedrete in sala è vero». Sillogismo che, ci permettiamo di notare, è tutt’altro che brillante. Il problema del racconto della verità storica è molto attuale ma ha già prodotto al cinema degli ottimi frutti, dalle Histoire(s) du cinéma di Jean Luc Godard (1998) a Sono stato Dio in Bosnia di Erion Kadilli (2011), film che ci hanno insegnato come un racconto naturalistico non sia in grado di restituire l’elemento di verità della storia, che è poi la sua complessità, che deve essere salvata se non si vuole, per usare le parole di Benjamin, ridursi a strumento della classe dominante.

Il vero Oriente di Artaud: Il teatro dell’altro di Marco De Marinis.

Il nuovo libro di Marco De Marinis, Il teatro dell’altro, tratta dell’interculturalismo e del trans culturalismo nel teatro contemporaneo attraverso l’analisi di tre maestri che hanno affrontato questi problemi: Artaud, Grotowski e Barba. Il nostro “resoconto” intende, proprio così, rendere conto di come l’autore rintracci, attraverso un’analisi serrata e avvincente, la scoperta del vero Oriente per Artaud. Di Gigi Livio

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The Artist

In questo articolo vedremo come The Artist è stato accolto dagli Academy Awards e dagli Indipendent Spirit Awards, premi cinematografici a prima vista distanti tra loro ma in realtà ideologicamente sovrapponibili. Di Enrico A. Pili

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Nella foto possiamo vedere Meryl Streep accanto al protagonista di The Artist, il prestante Jean Dujardin. L’attrice americana ha vinto il suo terzo Oscar interpretando Margaret Thatcher nel film The Iron Lady. Una veterana della cerimonia diventata mezzo per l’assoluzione di un mostro (che porta con sé l’assoluzione di thatcherismo e reaganismo) accanto allo straniero francese fattosi lacchè dell’imperialismo culturale americano: era forse possibile un quadretto più conservatore di questo?

De mortuis nihil nisi Bene.

L’articolo presenta una scheggia di un lavoro futuro dove, tra le altre cose, ci si occuperà in modo critico approfondito della distinzione dei due periodi dell’attività artistica di Carmelo Bene, la prima all’insegna prevalentemente dell’allegorismo e la seconda a quella, sempre prevalentemente, del simbolismo. Di Gigi Livio

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Nella prima fotografia vediamo Carmelo Bene in un momento di Pinocchio del 1966: la posizione del corpo e il volto esprimono rabbia e sprezzo, rabbia per dover vivere in un mondo e in un teatro che non gli appartiene e sprezzo per quel mondo e quel teatro. Più tardi, a partire dalla fine degli anni sessanta, Bene abbandona quella visione del mondo antagonistica per ritagliarsi piuttosto uno spazio di grand’attore che basa tutto il suo talento sulla raffinatezza estetica. Nella seconda fotografia abbiamo un momento di Homlette for Hamlet dove risulta evidente questo cambiamento. Gli altri attori sono ridotti a statue, tra barocche e neoclassiche, mentre il suo volto esprime non più rabbia e sprezzo ma sublime superiorità sulle cose del mondo, un mondo che continua a non piacergli ma le cui regole mercantili ora accetta pur fingendo di opporvisi.

Nella prima fotografia vediamo Carmelo Bene in un momento di Pinocchio del 1966: la posizione del corpo e il volto esprimono rabbia e sprezzo, rabbia per dover vivere in un mondo e in un teatro che non gli appartiene e sprezzo per quel mondo e quel teatro. Più tardi, a partire dalla fine degli anni sessanta, Bene abbandona quella visione del mondo antagonistica per ritagliarsi piuttosto uno spazio di grand’attore che basa tutto il suo talento sulla raffinatezza estetica. Nella seconda fotografia abbiamo un momento di Homlette for Hamlet dove risulta evidente questo cambiamento. Gli altri attori sono ridotti a statue, tra barocche e neoclassiche, mentre il suo volto esprime non più rabbia e sprezzo ma sublime superiorità sulle cose del mondo, un mondo che continua a non piacergli ma le cui regole mercantili ora accetta pur fingendo di opporvisi.

Bene, Lautreamont, Wilde, Bataille

Ci proponiamo di analizzare una scena della Salomè cinematografica di Carmelo Bene (1972) alla luce dei suoi legami con vari testi amati dall’artista pugliese, in particolare con un passo dei Canti di Maldoror(Lautréamont, 1868). Di Enrico A. Pili

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Gli attimi che aprono la sequenza esaminata sembrano fornire un’ulteriore chiave di lettura possibile: l’allegoria sembra infatti “vista” da Erode nel proprio specchio, secondo un chiaro raccordo di sguardo. Il già complesso personaggio di Erode si farebbe così ancora più autobiografico (Bene-Erode “guarda” l’artista in se stesso e nasconde la sua disperazione in orgie e banchetti) e profondo dal punto di vista della femminilità di Erode e del discorso uomo-donna (Erode consapevole del proprio destino di uomo che va incontro allo spellamento finale per mano di una donna maschile con disperata consapevolezza della propria impotenza). Ma anche qui i fili del discorso si moltiplicano e si ramificano, costringendoci per il momento a queste poche proposte di superficie.

“L’arte non è cosa nostra” … perché forse non è più arte.

Appunti sull’ennesima operazione commercial-artistica dell’industria culturale. Di Ariela Stingi

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Scorcio del salone Nervi, all’interno di Torino Esposizioni

Data l’assenza di cartellini nominativi non è possibile a chi scrive risalire agli artisti e al titolo delle opere. Va inoltre notato che i lavori esposti non hanno alcuna connessione logica gli uni con gli altri, e inoltre, è da sottolineare che l’esposizione e l’allestimento sono state curate dagli artisti stessi. Arte democratica o poca voglia di gestire l’evento da parte del curatore?