Mélange: a proposito di “tolleranza”. Una pagina di Adorno

Una pagina di Adorno tratta da uno dei suoi libri più importanti, Minima moralia. Un discorso critico sulla falsa tolleranza. Di Armando Petrini
Sempre più spesso il senso comune si fa portatore di una idea astratta di tolleranza, che finisce per rovesciarsi nel suo opposto, in una forma di omologazione.
Adorno mette bene in evidenza questo rischio già alla fine degli anni Quaranta del Novecento, osservando come la falsa tolleranza tipica del capitalismo maturo nasca dal rifiuto dell’autentica tolleranza che potrebbe realizzarsi in una società liberata.

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Cinque difficoltà per chi scrive la verità secondo Bertolt Brecht

Riproponiamo alcuni brani di un prezioso scritto di Brecht del 1935, Cinque difficoltà per chi scrive la verità. Di Armando Petrini
Bertolt Brecht è uno dei pensatori più importanti del Novecento e uno dei più significativi della modernità. Si capisce perciò l’attenzione che questa rivista ha dedicato e continua a dedicare alla sua opera. Riproponiamo qui alcune pagine di un suo scritto di straordinaria attualità, in cui l’esercizio dialettico si presenta come il cuore pulsante di un modo ricco e complesso di guardare alla realtà.

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Rileggendo Baudelaire.

Con queste pagine di Baudelaire proseguiamo la pratica di proporre periodicamente le opere di quegli artisti e quei pensatori che formano il nostro retroterra culturale, allo scopo di richiamare alla memoria, con gli esempi più alti dell’arte e del pensiero della tradizione, le radici di quella intricata “pianta” che è la coscienza della modernità.
Di Silvia Iracà

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Foto del 1856-1858 di Gaspard-Félix Tournachon, “Nadar” (1820-1910): «[…] aveva la belllezza grave di un cardinale delle Lettere officiante al cospetto dell’Ideale. Il suo volto [era] glabro e pallido; gli occhi [si muovevano] come soli neri, la bocca aveva una vita distinta nella vita e nell’espressione del volto, era sottile e fremente, di una fine vibrazione sotto l’archetto delle parole. E tutta la testa dominava dall’altezza di una torre l’attenzione attonita degli astanti» (Seché citato da W. Benjamin nei «Passages» di Parigi)

«Si passi in rassegna, si esamini tutto ciò che è naturale, tutte le azioni e i desideri del semplice uomo naturale e non si troverà altro che orrore. Tutto quanto è bello e nobile è il risultato della ragione e del calcolo. Il delitto, di cui la bestia umana ha appreso il gusto nel ventre della madre, è originariamente naturale. La virtù, al contrario, è artificiale e sovrannaturale, giacché sono stati necessari, in tutti i tempi e in tutti i popoli, divinità e profeti per insegnarla all’umanità imbestiata, e l’uomo da solo sarebbe stato impotente a scoprirla. Il male si fa senza sforzo, naturalmente, per fatalità; ma il bene è sempre il prodotto di un’arte» (C. Baudelaire, Scritti sull’arte, Elogio del trucco).

Walter Benjamin pensatore della e nella modernità.

Proponiamo alcune pagine di Walter Benjamin, uno dei più acuti critici della cultura e dell’arte moderne, tratte dalle Tesi di filosofia della storia e dai “Passages” di Parigi. Per indagare il volto contraddittorio della modernità.Di Donatella Orecchia
In questo spazio che l’“Asinovola” riserva alle riflessioni dei classici della modernità, Benjamin non poteva certo mancare, a patto però di sottrarlo a quella lettura postmoderna che fa di lui un geniale quanto criptico pensatore, prosatore dal seducente e frammentato periodare, i cui scritti possono essere citati senza confrontarsi con la matrice ideologica che li informa. E con la rabbia politica che li sostiene.

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La rivoluzione del secolo diciannovesimo e la tradizione

L’inizio del 18 brumaio di Luigi Napoleone di Marx costituisce uno dei testi fondamentali per comprendere il pensiero del fondatore del comunismo sulla storia. Di Gigi Livio

Riproponiamo una pagina di Marx tratta dal suo studio storico sulla presa del potere da parte di Napoleone III
attraverso il colpo di stato del 2 dicembre 1851. Si tratta dell’inizio del 18 brumaio in cui Marx svolge l’argomentazione
a proposito dell’uso della tradizione che fa ogni rivoluzione comparando ciò che avvenne durante la rivoluzione francese,
dopo il colpo di stato di Napoleone I (9 novembre 1799) con ciò che sta succedendo al tempo con l’avvento di Napoleone III.
È il per altro famosissimo brano in cui il fondatore del comunismo dimostra quanto sia vera la sua affermazione per cui
“tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia” si mostrano nel mondo “la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.

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Due pagine di Picasso

L’artista spagnolo nei suoi scritti dice di sé: “Io sono un comunista e la mia pittura è comunista. […] Se però fossi stato calzolaio, monarchico o comunista, non avrei necessariamente dovuto martellare i chiodi in modo speciale per dimostrare le mie tendenze politiche” Di Maria Pia Petrini
L’artista che ha rivoluzionato l’arte del suo tempo, stravolgendone radicalmente il linguaggio con l’arma della pittura è stato anche un rivoluzionario in lotta contro l’esistente. Ma in anni di ‘oppressione terribile’ l’arte non è stata più sufficiente, e come ‘conseguenza logica’ di tutto il suo lavoro e la sua vita ha aderito al Partito Comunista francese.

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Autoritratto
, 1907
Olio su tela, 50X46 cm

‘L’arte ci offre la possibilità di esprimere la nostra concezione e la nostra intelligenza di ciò che la natura non ci dà mai in forma assoluta. Dai primitivi, la cui arte era estremamente lontana dalla natura fino agli artisti come David, Ingres e perfino Bourguereau, tutti i pittori che rappresentavano la natura capivano bene che l’arte era sempre arte e mai la natura’.
(Pablo Picasso, Scritti, Milano, Se, 1998, p20)

‘L’arte non è l’applicazione di un canone di bellezza, ma ciò che l’istinto e il cervello possono concepire insipendentemente da ogni canone’.
(Pablo Picasso, Scritti, Milano, Se, 1998, p31)
Guernica, 1937
Olio su tela, 349,3X776,6 cm

‘Il conflitto spagnolo è la lotta della reazione contro il popolo, contro la libertà. Tutta la mia vita d’artista non è stata altro che una lotta continua contro la reazione e contro la morte dell’arte.
[…] Nella tela a cui sto lavorando, Guernica, ed in tutte le mie opere d’arte recenti, io esprimo chiaratamente il mio odio per la casta militare che ha sprofondato la Spagna in un oceano di morte e di dolore’.
(Pablo Picasso, Scritti, Milano, Se, 1998, p34)



Due pagine di Brecht su naturalismo e politica

Per il drammaturgo tedesco, morto cinquant’anni fa, il naturalismo non è solamente una forma dell’arte, o della tecnica, dell’attore, ma anche un ben preciso modo di intendere il mondo dal punto di vista politico. Di Gigi Livio
Nel riprendere pagine fondanti il nostro retroterra, ci imbattiamo ineludibilmente in Brecht. La scrittore tedesco presenta infatti una visione del mondo e delle cose dell’arte tipicamente moderne e che della modernità hanno tutta la complessità e la ricchezza. I due brani qui riproposti affrontano il problema del naturalismo, così nella recitazione degli attori come nelle esibizioni di Hitler, letto, come non può non essere, in chiave politica.

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Nei tempi oscuri

Non si dirà: quando il noce si scuoteva nel vento
ma: quando l’imbianchino calpestava i lavoratori.
Non si dirà: quando il bambino faceva saltare il ciottolo piatto sulla rapida del fiume
ma: quando si preparavano le grandi guerre.
Non si dirà: quando la donna entrò nella stanza
ma: quando le grandi potenze si allearono contro i lavoratori.
Tuttavia non si dirà: i tempi erano oscuri
ma: perché i loro poeti hanno taciuto?

(Bertolt Brecht, Poesie 1933 – 1938, in Poesie, Torino, Einaudi, 1992, p.137)



Nel cinquantenario della morte di Brecht. Alcune riflessioni sullo “straniamento”

Lo stranimento è un procedimento attraverso cui l’arte riflette su se stessa e sul mondo. Utilizzato fin dai tempi antichi, è stato teorizzato da Bertolt Brecht per ciò che riguarda la recitazione a partire dal 1936. Di Gigi Livio
Brecht è uno degli scrittori cardine del novecento. La sua opera poetica, la drammatica e la saggistica sono cadute oggi in una specie di oblio cui contribuiscono certamente le sue posizioni politiche.
Come sempre di questi tempi, ci troviamo di fronte a un fatto che coniuga rifiuto ideologico con superficialità. Riprendere l’insegnamento di Brecht oggi vuole anche dire -oltre a portare avanti una lotta più precisa contro l’estetica, imperante nella recitazione, in teatro nel cinema e alla televisione, dell’immedesimazione naturalistica- ritornare, in un momento di crisi del postmoderno, a abbeverarsi alle fonti più fertili della modernità.

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Il comico è di per sé un genere recitativo che favorisce lo straniamento. C’è però attore comico e attore comico: chi limita la sua comicità alla superficie e fa ridere il pubblico ricorrendo a “mezzucci” è assai poco straniato. L’attore comico che, invece, stravolge la realtà attraverso il grottesco non può non frequentare una qualche forma di straniamento. Ettore Petrolini (1884-1936), grandissimo e straordinario teatrante, propone sempre un determinato personaggio come da lui visto con occhio critico, crudele e distaccato. Questo è Gastone, protagonista della “macchietta” omonima, che risulta una feroce satira dell’attore superficiale e estetizzante così di quell’epoca come dei nostri giorni.

La maschera del Nerone petroliniano ci dice immediatamente quale carica parodia l’attore romano sapesse sviluppare nei confronti dei miti della romanità rivissuta in quegli anni in Italia prima nella letteratura, nel teatro e nel cinema e poi, con l’avvento del fascismo, nelle strade e nelle piazze.

Totò nella parte di Pinocchio (a sinistra Anna Magnani). Anche il comico napoletano utilizza lo straniamento in vari modi: la voce, innanzi tutto, ma anche la gestualità così particolare e disarticolata che gli permette di rimanere sempre al di fuori del personaggio che sta portando sulla scena e di proporlo in modo critico.

Una pagina di Gramsci

La riproposta di una pagina dai Quaderni del carcere di Antonio Gramsci costituisce l’occasione per tornare a parlare della necessità, oggi più forte che mai, di frequentare il pensiero critico della moderntà, e del novecento in particolare, nell’ottica di un rinnovamento della cultura e della società. Di Gigi Livio
Con questo nuovo numero dell’Asino vola iniziamo una pratica che ci appare quanto mai necessaria: la riproposta di alcune pagine dei maestri del pensiero che hanno costruito il nostro retroterra culturale. Antonio Gramsci è certamente tra i più importanti intellettuali della modernità: rileggere le sue pagine oggi significa ritrovare e riaffermare la forza del pensiero critico in una temperie culturale, la nostra, in cui l’ubriacatura relativistica postmoderna vorrebbe azzerare ogni tensione autenticamente oppositiva all’ideologia dominante
Se è vero che il postmoderno inizia forse a mostrare i primi segni di cedimento, è altrettanto vero che il “canto del cigno” del vecchio uomo dipende anche dalla nostra capacità di fare ciascuno la propria parte perché ciò possa avvenire davvero.

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Ricordo di Ugo Tognazzi

Dal 3 al 13 novembre 2005, a quindici anni dalla morte, il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha dedicato a Ugo Tognazzi una scelta di pellicole tra le numerosissime (circa centocinquanta) che, tra gli anni ’60 e la fine degli ’80, ne portarono alla luce l’interessante e originale poetica d’attore. Di Silvia Iracà
L’omaggio Tutti per-UGO-per tutti ha presentato quindici film che, per volere dei curatori, testimoniano il periodo di affermazione di Tognazzi presso la critica, tralasciando le numerose commedie “leggere” girate dal ’50 a tutta la metà dei ’60 e l’ultimo decennio di attività (1981-1990). La scelta, quindi, ha percorso l’arco temporale e artistico che va dal Federale di Luciano Salce, pellicola che vide l’attore esordire nel suo primo personaggio “amaramente” comico per giungere fino alla Tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci (1981) film che consacrò la grandezza dell’attore con la Palma d’Oro a Cannes.

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Nella posa tra l’ebete e il tronfio data dal mento e dal labbro inferiore rivolti leggermente all’insù, Ugo Tognazzi parodia l’ingenua e incosciente fierezza del fascista Primo Arcovazzi, protagonista del Federale di Luciano Salce (1961). L’attore transita continuamente dentro e fuori il personaggio, giocando abilmente tra partecipazione emotiva e distacco critico. Il fascista naïf diviene così una sorta di rude Charlot alle prese con la Storia, buffo e patetico ad un tempo, la cui presa di coscienza giungerà quando ormai la tragedia sarà ineluttabilmente compiuta.

In Porcile di Pier Paolo Pasolini (1969) Ugo Tognazzi, Alberto Lionello e Marco Ferreri impersonano tre ex gerarchi nazisti ora dirigenti della grande borghesia tedesca post-bellica. Dall’immagine salta subito agli occhi la carica grottesca comune alle espressioni dei tre, moderni clown in abito elegante: se in Lionello (le cui sembianze rimandano esplicitamente al Führer) il cinismo traspare da modi più sornioni e leccati, in Ferreri emerge dalla subdola cerimoniosità, mentre in Tognazzi si manifesta con toni irriverenti e parossistici.

Ugo Tognazzi, il giudice Mariano Bonifazi in In nome del popolo italiano di Dino Risi (1971), è qui quasi figura astratta nella rigidità del doppiopetto, incorniciato da una barba che esalta, più che nascondere, i tratti salienti di quel volto meditabondo e impenetrabile ma penetrante. Questa sua fissità rende ancor più eccessiva la prosopopea gigiona e compiaciuta della recitazione di Vittorio Gassman tutta sopra le righe. È facile scorgere, dietro la finzione, il gustoso scambio di ammicchi ironici tra i due attori, vero e proprio agone mimico e retorico.