Il puzzle Orson Welles

Una grande retrospettiva dedicata al regista al Festival di Locarno. Un’occasione per rivedere i capolavori e per scoprire preziosi tesori -frammenti di film incompiuti ma non solo- della sua variegata e travagliata carriera. Una vita divisa tra cinema, radio, teatro e televisione, in cui Welles non smise mai di sperimentare e di lottare in nome della propria autonomia artistica. Di Mariapaola Pierini
Nei dieci giorni della retrospettiva, una panoramica sulla multiforme carriera di Orson Welles. Un omaggio alla grandezza di un artista che nel corso della sua lunga carriera è stato costretto ad abbandonare molti dei suoi progetti, lasciando dietro di sé un’immensa mole di materiale frammentario e incompleto.
Negli anni molti sono stati i tentativi di dare conto e di ordinare quanto Welles ha prodotto, e questa retrospettiva aggiunge notevoli contributi alla ricostruzione della sua complessa vicenda artistica.
Il puzzle Orson Welles si arricchisce dunque di importanti tasselli ma, come le inchieste dei suoi film, sembra destinato a non chiudersi mai. Welles pare aver voluto alimentare un continuo interesse sulla sua personalità artistica e, soprattutto, disattendere costantemente le aspettative di chi vorrebbe chiudere definitivamente l’inchiesta e “vendere” la versione definitiva della sua vita e della sua opera.

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Un giovane Welles dietro ai microfoni della radio. Fin dagli anni Trenta, prima di approdare al cinema, e a fianco dell’intensa attività teatrale, Welles è tra i più coraggiosi sperimentatori del linguaggio radiofonico.

Orson Welles e Micheàl MacLiammòir durante le travagliate riprese di Othello. Un sodalizio straodinario tra due attori, un’intesa nata sul palcoscenico che conferisce intensità e pienezza ai personaggi di Othello e Jago.

Welles e Jeanne Moreau in Chimes at Midnight, l’ultima delle trasposizioni cinematografiche da Shakespeare. Welles fa del suo Falstaff un personaggio tra i più riusciti della sua carriera d’attore, una perfetta commistione di toni tragici e sfumature comico-burlesche.

Kontakthof. Pina Bausch e il rimpianto della danza

Pina Bausch ripropone un suo vecchio spettacolo. In scena attori sopra i sessantacinque anni. Un ritorno al passato attraverso un riallestimento che vuole sottrarsi a ogni possibile retorica celebrativa. Di Donatella Orecchia e Mariapaola Pierini

Dal 18 al 21 novembre al Teatro della Corte di Genova va in scena Kontakthof. Mit Damen und Herren ab 65.
Lo spettacolo è quello del 1978, ma chi lo porta in scena è più vecchio di quanto non siano oggi i ballerini della versione originale.
 
Un’immagine sfocata di ciò che è stato, una riedizione in cui i corpi malfermi e imperfetti degli attori si affannano negli inseguimenti amorosi degli impossibili contatti dello spettacolo.
 
Nel ritornare sul proprio passato, la Bausch compie una riflessione amara e insieme lieve sul senso del proprio lavoro. Senza ridonargli brillantezza e ostacolando, attraverso questi corpi segnati dal tempo, ogni possibile compiacimento formale, la coreografa ribadisce e rende ancor più doloroso il suo rimpianto per un’impossibile danza.

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Kontakthof. La versione originale del 1978. I ballerini attori del Wuppertaler Tanztheater avanzano verso la platea in una sequenza di piccoli e precisi movimenti. Nel teatro di Pina Bausch la danza si distilla e si frantuma per lasciare spazio a una gestualità ripetiviva e a corpi crudamente sensuali.

Kontakthof. Il riallestimento. I medesimi costumi e i medesimi movimenti. Tutto però cambia di segno. Pina Bausch ha forzato lo spettacolo verso i suoi limiti estremi, e i corpi malfermi e incerti esprimono tutto il disincanto e la meraviglia di ciò che è stato e non è più.

Cafè Müller. Nello spettacolo del 1978 la Bausch appare in scena. Una figura spettrale dalle lunghe braccia e dal corpo sofferente si aggira come una sonnambula tra i tavoli e le sedie di un caffè.

Il Convegno sul teatro di contraddizione

Dal 4 al 6 marzo 2004, all’Università degli Studi di Torino (Facoltà di Scienze della Formazione) un incontro di tre giorni con storici del teatro, musicologi e studiosi di letterature per ricostruire la grandiosa rivoluzione – non per colpa dei protagonisti fallita – del teatro di contraddizione alla presenza di alcuni testimoni di quel momento. Di Silvia Iracà

Il Convegno è stato un’occasione – sempre più rara nell’era del pensiero unico, nemico di ogni forma autentica di elaborazione critica del reale – di confronto e approfondimento sulla stagione più fertile e audace del nostro teatro dagli anni ’60 ad oggi, e uno dei rari momenti di incontro con alcuni dei teatranti, Claudio Remondi, Riccardo Caporossi, Carlo Quartucci e Carla Tatò che, insieme a Carmelo Bene, Carlo Cecchi, Leo De Berardinis, Perla Peragallo e Rino Sudano, ne furono i protagonisti.
 
Dagli interventi, così come dalle preziose testimonianze degli artisti, è emerso il valore etico, oltrechè estetico, della ‘contraddizione’ intesa come poetica rivoluzionaria, capace di scardinare le certezze consolidate e consolatorie di una società culturalmente asservita e assuefatta alle logiche del potere.

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