Hegel Sistematico? Ma neanche per sogno!

Autonegazione ed antitesi del sistema hegeliano dal suo interno: la Fenomenologia dello Spirito, opera inquieta e rivoluzionaria. Di Nicola Busca

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La ricerca della Verità nella Fenomenologia dello Spiritoe nelle opere giovanili di Hegel in generale, è una ricerca infinita, il processo di conoscenza è destinato a non interrompersi mai. Il culmine di pensiero raggiunto dal filosofo tedesco, la sintesi, causa la sua stessa dialettica di movimento interna, non è altro che tesi di un successivo movimento. Il sistema di pensiero, in questo primo Hegel, non è assoluto e definitivo ma fluido e dinamico.

La ricerca della Verità nella Fenomenologia dello Spiritoe nelle opere giovanili di Hegel in generale, è una ricerca infinita, il processo di conoscenza è destinato a non interrompersi mai. Il culmine di pensiero raggiunto dal filosofo tedesco, la sintesi, causa la sua stessa dialettica di movimento interna, non è altro che tesi di un successivo movimento. Il sistema di pensiero, in questo primo Hegel, non è assoluto e definitivo ma fluido e dinamico.

L’idea di frattura ed inquietudine, con le dovute differenze storiche e personali del caso, emerge in maniera molto enfatizzata nei ritratti di Francis Bacon. L’artista irlandese, omonimo e forse lontano cugino del filosofo, è uno dei maggiori rappresentati novecenteschi delle inquietudini esistenziali del secolo breve. Una serie di angosce, quelle analizzate da Bacon, che personificano un mondo intero e muovono la sua arte in toto.

Elisabetta II. Non è una commedia. È anche una tragedia. La spietata “arte del perturbamento” in una delle opere più caustiche dell’ultimo Bernhard.

Appunti brevi su uno dei testi più tipicamente “bernhardiani” dell’autore austriaco e sulla prima rappresentazione italiana di Elisabetta II per la magistrale interpretazione di Roberto Herlitzka e la regia senza sbavature di Teresa Pedroni. Di Letizia Gatti

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Qui sopra Roberto Herlitzka (il vecchio industriale Herrestein) e Gianluigi Pizzetti (il servitore Richard) in una foto di scena. Come accade di consueto nelle opere teatrali di Bernhard, il rapporto fra i due personaggi principali si svilippa a partire dal binomio servo-padrone / vittima-carnefice: dove l’uno, il padrone, è ridotto alle dipendenze di un servitore a causa di una mutilazione alle gambe che dice di una frattura col mondo circostante riguardante più la sfera dello spirito che uno stato fisico, l’altro, il servo, vive in una dimensione di schiavitù psichica da cui non riesce del tutto a liberarsi, pena la morte stessa. In Elisabetta II, che ricalca per certi versi la struttura di Una festa per Boris (opera prima di Bernhard drammaturgo, 1970), si assiste tuttavia a un leggero rovesciamento dei rapporti di forza fra i due protagonisti, a favore del più debole dei due, il servo, che sembra aver maturato, secondo le parole di Herrestein, l’esigenza di liberazione dalla propria condizione. Così in Elisabetta II: “La catastrofe verrà / quando non ci vedrò più niente/ e non sentirò più niente / quando sarò in tutto e per tutto / Richard / alla sua mercé”; e ancora, più avanti, alla fine della scena seconda: “Se lei mi lascia lei mi uccide / Senza di lei sarei peduto lo sa / Non sarei più soltanto uno storpio / sarei uno storpo morto”; “Sul Semmering cambierò testamento / nel senso che vorrà lei Richard / nel senso che vorrà lei/ Potrà avere tutto da me / se rimarrà con me / ma proprio tutto“.

Sono stato dio in Bosnia – Vita di un Mercenario di Erion Kadilli

L’ultimo documentario di Erion Kadilli dimostra ancora una volta l’importanza dello stile all’interno di una categoria audiovisiva (il documentario appunto) le cui scelte formali sono spesso sottovalutate. Di Enrico A. Pili

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Nel documentario di Erion Kadilli il rapporto tra suono e immagine è regolato da scelte stilistiche ben precise. Quando vengono mostrate le immagini dell’obitorio (fig.1), cioè la realtà della morte, il suono scompare. L’insistere della ripresa di Delle Fave sul cadavere, spogliata di ogni commento sonoro, perde il suo elemento di morbosità per divenire semplice processo di esibizione documentaristica della morte. Al contrario, quando il mercenario parla del bambino ucciso a Vincovci (fig.2), è l’immagine a sparire: il racconto epico e terribile del mercenario viene udito dallo spettatore senza alcuna immagine che lo sostenga. La “realtà storica” dell’evento, ormai compromessa dalla narrazione spettacolare di Delle Fave, viene recuperata eliminando ogni possibile immagine, quindi evitando ogni compromesso narrativo. Ci viene così ricordato che qualcuno, fuori dal racconto spettacolare, è morto davvero.

Nel documentario di Erion Kadilli il rapporto tra suono e immagine è regolato da scelte stilistiche ben precise. Quando vengono mostrate le immagini dell’obitorio (fig.1), cioè la realtà della morte, il suono scompare. L’insistere della ripresa di Delle Fave sul cadavere, spogliata di ogni commento sonoro, perde il suo elemento di morbosità per divenire semplice processo di esibizione documentaristica della morte. Al contrario, quando il mercenario parla del bambino ucciso a Vincovci (fig.2), è l’immagine a sparire: il racconto epico e terribile del mercenario viene udito dallo spettatore senza alcuna immagine che lo sostenga. La “realtà storica” dell’evento, ormai compromessa dalla narrazione spettacolare di Delle Fave, viene recuperata eliminando ogni possibile immagine, quindi evitando ogni compromesso narrativo. Ci viene così ricordato che qualcuno, fuori dal racconto spettacolare, è morto davvero.

Il filo del rasoio di Bruno Ganz

Bruno Ganz, grande attore dialettico, riesce a recitare la parte di un Hitler alla fine della propria vita rendendo con grande efficacia la contemporanea esistenza nel personaggio di una radice profondamente disumana e di un estremo residuo di umanità. Di Gigi Livio

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Cinematografo – da cui, abbreviato, “cinema” – è parola derivata dal greco e composta di “movimento” (chinema) e “descrivere” (grafo). Pertanto nessun fotogramma isolato può restituire il valore del movimento di cui è privato. Da questi due fotogrammi si può però desumere la straordinaria capacità di Bruno Ganz di usare lo sguardo nel recitare la parte di un Hitler ormai sconfitto e giunto alla fine della propria vita e della propria avventura politica e militare. È lo sguardo di una belva ferita a morte, ma pur sempre di una belva che, però, mantiene, essendo un uomo, un barlume di umanità. Una contraddizione in termini che l’attore riesce a rendere con estrema efficacia artistica.

Cinematografo – da cui, abbreviato, “cinema” – è parola derivata dal greco e composta di “movimento” (chinema) e “descrivere” (grafo). Pertanto nessun fotogramma isolato può restituire il valore del movimento di cui è privato. Da questi due fotogrammi si può però desumere la straordinaria capacità di Bruno Ganz di usare lo sguardo nel recitare la parte di un Hitler ormai sconfitto e giunto alla fine della propria vita e della propria avventura politica e militare. È lo sguardo di una belva ferita a morte, ma pur sempre di una belva che, però, mantiene, essendo un uomo, un barlume di umanità. Una contraddizione in termini che l’attore riesce a rendere con estrema efficacia artistica.

Sans. Assenza.

Lo spettacolo presentato a Helsinki da La Compagnie du Solitarie e dalla coreografa Martine Pisani restituisce una ventata d’aria fresca alla condizione stagnante della danza e del teatro contemporaneo riportando valore etico ed estetico all’essenzialità dell’opera d’arte spogliata finalmente da inutili vezzi e merletti. Di Valérie Bubbio

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L’equilibrio instabile che genera il movimento e al contempo lo distrugge è percepibile in Sanscome una costante. Una assidua contrapposizione tra elementi che si annullano reciprocamente anima il corpo dei danzatori-attori continuamente sospesi tra poli opposti. La forza può legarsi nei loro gesti a una fragilità disarmante, la permanenza a una perentoria precarietà lasciando lo spettacolo nella dimensione dell’incompiuto e della transitorietà.

Topoi e banalità

Il cigno nero, diretto da Darren Aronofsky, è un collage di banalità e banalizzazioni, ultimo aggiornamento della tecnica hollywoodiana di produzione del consenso. Di Angela Bresci

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Vincent Cassel interpreta la parte di Thomas Leroy, direttore e coreografo della compagnia di balletto. Anche lui è un’accozzaglia di banalissimi stereotipi: è autoritario, ambizioso, europeo e spiccatamente omosessuale.

Una delle immagini della trasformazione finale della ballerina interpretata da Natalie Portman nel Cigno nero. In un momento così importante per il personaggio e per l’attrice, che di quel personaggio avrebbe potuto ora mostrare la folle deriva, la recitazione viene abbandonata in funzione dell’effetto speciale. Al volto di Natalie Portman non viene chiesto di fare o esprimere niente, anzi probabilmente viene consigliato di non disturbare l’effetto speciale (gli occhi “demoniaci”). La potenziale riflessione espressiva del volto dell’attrice viene sacrificata a vantaggio di un procedimento (l’effetto speciale) che, al posto di suggerire, assorda: gli occhi rossi sono l’ennesima didascalia mirata a dichiarare l’atmosfera “demoniaca” del momento e la vittoria del doppio “maligno”.

Vita spensierata o ricerca profonda della Verità? Il dubbio di ogni filosofo nelle pagine di David Hume

C’è un naturale bivio a cui ogni filosofo giunge prima o poi. Da una parte sta il sentiero che porta alla Verità, ovvero il duro e faticoso cammino della scienza, della riflessione e della ricerca. Dall’altra si apre invece quello del senso comune, del divertimento e della spensieratezza, facile cammino che dà sollievo e poche preoccupazioni. Hume giunge a questo crocevia, per certi versi inaspettatamente, nelle pagine conclusive del primo libro del Trattato sulla Natura Umana, quello sull’Intelletto. Di Nicola Busca

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Le Penseur, Rodin. Spesso utilizzata per raffigurare la filosofia, la statua bronzea dell’artista francese rappresenta Dante di fronte alla porta dell’Inferno. Il soggetto raffigura un uomo assorto in una profonda riflessione, ma potrebbe benissimo essere un filosofo che medita o un pensatore che dubita.