Can che abbaia non morde. Critica e impegno ai tempi del disimpegno postmoderno

Per uscire dalla risacca dell’ideologia debole è necessario che la critica torni a utilizzare l’antico, e quanto mai indispensabile, strumento della dialettica. Di Letizia Gatti

Un articolo di Andrea Cortellessa sulle forme di impegno politico di alcuni intellettuali postmoderni, uscito di recente
su “La Stampa”, ci offre lo spunto per sottolineare la necessità di una critica che, invece di abbracciare trionfanti posizioni debolistiche, recuperi un pensiero forte, dialettico, profondamente radicato nel tessuto critico della modernità.

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Rivoluzione tecnologica permanente

Il lancio di un prodotto diventa una notizia di rilevanza mondiale, riportata sulle prime pagine dei principali quotidiani. A partire da questo episodio ragioniamo su quanto di realmente innovativo c’è nei gadget che affollano le nostre vite e sui significati della rivoluzione tecnologica permanente in cui viviamo. Di Claudio Deiro

Sabato 3 aprile negli Stati Uniti è stato introdotto sul mercato l’iPad. Un fatto di cronaca banale ma che
ha assunto rilevanza mondiale e che ci spinge a chiederci se esiste un reale contenuto innovativo in questo
come in altri prodotti e quali siano i significati delle continue innovazioni.

Le innovazioni portate da prodotti di questo tipo riguardano il modello di interazione uomo-macchina,
ora basato sulla manipolazione diretta di oggetti virtuali, e il modello di produzione-distribuzione-consumo
dei contenuti, che prevede un distributore unico, un consumo personale, l’abolizione dei supporti,
un terminale universale.

L’innovazione continua, invece, permette di mantenere vivo un mercato sempre più saturo,
mantenere un divario tecnologico tra le aziende occidentali e quelle dei paesi emergenti e alimentare
l’idea di un progresso purtroppo solo illusorio.


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Dopo essere stati tra i primi ad acquistare l’iPad alcuni consumatori mostrano esultanti la loro “preda”. Secondo i primi dati sarebbero centinaia di migliaia le unità vendute, nei soli Stati Uniti, nel primo fine settimana di commercializzazione. Episodi come questo dimostrano come con un accorto uso delle tecniche del marketing, e Jobs in questo è un maestro, è possibile creare dal nulla notizie di risonanza globale e condizionare grandi masse di persone. Nell’articolo si ragiona sulla carica di innovazione portata da questo e altri gadget, senza trascurare i pericoli che queste tecniche possono rappresentare, specie se applicate a temi politici o sociali.

La poesia in teatro

Questo scritto intende articolare meglio ciò che in un articolo del luglio 2009, Né più né meno, proprio così, era appena accennato: il problema della poesia in teatro appannaggio tipico e estremamente significativo del teatro di contraddizione. Di Gigi Livio
La poesia nel senso maiuscolo si oppone al poetico e alla prosa contemporaneamente. Ragionare su questi punti – qui,
data la brevità dello scritto, proposti solo come spunti – è fondamentale per capire la ricca significatività del teatro
di contraddizione. Partendo, questa volta, da una cosa più che bella di Riccardo Caporossi.

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Free Internet!

Da un’intervista a De Kerchkove su Affari & Finanza una serie di spunti di riflessione sul presente e il futuro di Internet (e non solo). Di Claudio Deiro

De Kerchkove ci parla degli effetti della nascita di un’offerta su Internet di servizi a pagamento; dell’affidabilità
delle informazioni reperibili in rete; degli effetti della diffusione di Internet; del rapporto tra rete e potere; della sana diffidenza
che occorre provare verso i social network.

Partendo da questi spunti l’articolo intende tentare di capire le conseguenze della diffusione di contenuti a pagamento 
su Internet e, tenendo conto della lezione di McLuhan, di elencare alcune caratteristiche del medium con le conseguenze
che si possono verificare.

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Quartucci/Tatò, les neiges d’antan e una breve riflessione su Benjamin

Alcune considerazioni sul lavoro che Carlo Quartucci e Carla Tatò porteranno avanti, tra Roma e Torino, nei prossimi due anni invitano a una riflessione sul teatro di contraddizione e sugli strumenti critici atti a indagarlo. Di Gigi Livio
Nel rimpianto di Villon per le nevi d’una volta non c’è solo l’angoscia per il tempo che passa, ma anche
la nostalgia di una genuinità ormai perduta. Il teatro di contraddizione conosceva proprio questo sentimento
della genuinità; oggi spetta a pochi continuare su quella strada. Ma per comprendere ciò che succede 
è necessario affinare gli strumenti critici, anche sulla scorta di una meditazione su certe posizioni di Benjamin
oggi non più frequentabili senza dubbi e conseguenti messe a punto.

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Senza alcuna intenzione di affrontare qui un problema estremamente complesso: basterà notare che l’affermazione di Mc Luhan “il mezzo è il messaggio” si è rivelata piuttosto precisa e pregnante nella nostra epoca assai più di quanto sembrasse essere al momento della sua formulazione, quarant’anni e più fa . Il guaio è semmai che altre espressioni spettacolari, come il teatro, un tempo sottratte alla tirannia dello strettamente ripetitivo e della resa incondizionata al mercato, oggi sembrano altrettanti “mezzi” tesi soltanto a dare al pubblico ciò che il pubblico sa già di volere ricevere. “Non più messaggi ma massaggi” non è un motto di Mc Luhan -anche se il titolo originale di un suo libro è proprio The medium is the massage– ma di Bartolucci, profeta dell’applicazione del pensiero postmoderno in teatro. L’impostazione che da qualche tempo, anche se l’ispirazione è antica e risale a Camion, Quartucci/Tatò hanno impresso alla loro operazione artistica e cioè il perseguire “l’edificio scenico” e dunque “uno spazio di progetto aperto, uno spazio di ricerca continuo. […] uno spazio drammatizzato, da drammatizzare, uno spazio per l’estensione di un comportamento drammaturgico: un continuum drammaturgico” intende proprio far esplodere lo spazio tradizionale del teatro come medium, come spazio deputato e certe cose che sono ormai solo quelle e non altre. Pur non escludendo momenti dell’azione scenica in teatri veri e propri, la drammatizzazione di qualsiasi spazio in cui si dipana il loro operare (qui un corridoio del piano sotterraneo di Palazzo nuovo a Torino e un’aula dello stesso edificio) è studiata per stimolare gli studenti a partecipare alla loro “immagine sognata, sognante e drammatizzata”.

Senza alcuna intenzione di affrontare qui un problema estremamente complesso: basterà notare che l’affermazione di Mc Luhan “il mezzo è il messaggio” si è rivelata piuttosto precisa e pregnante nella nostra epoca assai più di quanto sembrasse essere al momento della sua formulazione, quarant’anni e più fa . Il guaio è semmai che altre espressioni spettacolari, come il teatro, un tempo sottratte alla tirannia dello strettamente ripetitivo e della resa incondizionata al mercato, oggi sembrano altrettanti “mezzi” tesi soltanto a dare al pubblico ciò che il pubblico sa già di volere ricevere. “Non più messaggi ma massaggi” non è un motto di Mc Luhan -anche se il titolo originale di un suo libro è proprio The medium is the massage– ma di Bartolucci, profeta dell’applicazione del pensiero postmoderno in teatro. L’impostazione che da qualche tempo, anche se l’ispirazione è antica e risale a Camion, Quartucci/Tatò hanno impresso alla loro operazione artistica e cioè il perseguire “l’edificio scenico” e dunque “uno spazio di progetto aperto, uno spazio di ricerca continuo. […] uno spazio drammatizzato, da drammatizzare, uno spazio per l’estensione di un comportamento drammaturgico: un continuum drammaturgico” intende proprio far esplodere lo spazio tradizionale del teatro come medium, come spazio deputato e certe cose che sono ormai solo quelle e non altre. Pur non escludendo momenti dell’azione scenica in teatri veri e propri, la drammatizzazione di qualsiasi spazio in cui si dipana il loro operare (qui un corridoio del piano sotterraneo di Palazzo nuovo a Torino e un’aula dello stesso edificio) è studiata per stimolare gli studenti a partecipare alla loro “immagine sognata, sognante e drammatizzata”.

A partire da A Serious Man e L’uomo che verrà

Per far aderire un attore al proprio disegno stilistico bisogna avere un disegno stilistico.
Di Enrico A. Pili
A Serious Man di Joel e Ethan Cohen e L’uomo che verrà di Giorgio Diritti sono film che si fondano esclusivamente sulla recitazione. Entrambi mettono in evidenza la necessità di saper lavorare con gli attori per fare un buon film. Per un ottimo film invece un buon lavoro organizzativo non basta.

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Breve riflessione, nel cinquantenario della morte di Coppi, sul sogno che può scatenare un campione sportivo eccezionale

Prendendo spunto dall’anniversario della morte di Fausto Coppi, il “Campionissimo”, si riflette,
se pure brevemente, sull’influenza che ha lo sviluppo tecnico dei mezzi di comunicazione 
di massa sui nostri sogni.
 Di Gigi Livio

Leopardi pone l’indefinito alla base del sogno che dà piacere poiché risveglia in noi lontani ricordi
di sogni analoghi della nostra infanzia. Lo sviluppo tecnico dei mezzi di comunicazione di massa porta
alla riduzione, fin quasi all’annullamento, del margine di indefinito che un tempo era prerogativa
delle imprese sportive compiute da atleti eccezionali come Fausto Coppi e che favoriva, appunto, il sogno.

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Lo stile di Coppi era, ed è, ineguagliabile: nello scalare le montagne, spesso ancora su strade sterrate – come quella che si vede in questa famosissima fotografia che lo ritrae sul Col du Tourmalet durante il Tour de France del 1949-, non si scomponeva mai ma procedeva, implacabilmente staccando gli inseguitori a ogni pedalata, composto ed elegantissimo pur nel momento della massima fatica come si vede in questa immagine. Certamente il suo stile era tanto più “mitico” in quanto veniva raccontato da chi aveva il privilegio di seguirlo in automobile o di correre con lui: il normale appassionato poteva al massimo appostarsi su un tornante della salita per vedere un piccolo frammento della corsa. I pochi documenti filmati – spesso le condizioni meteorologiche erano avverse alla ripresa cinematografica ma non al Campionissimo che proprio in quelle sfavorevoli situazioni dava il meglio di sé – documentano questo stile inarrivabile, se pure frammentariamente. E questo stile, mille volte esaltato dalla stampa dell’epoca, poteva far sognare che un atleta e uomo eccezionale avesse finalmente realizzato una utopia che affonda le sue origini nell’abisso del tempo, quella della “fatica senza fatica”.

Comicità fascistoide. I tempi duri della “satira che non c’è”

“La satira che non c’è”, secondo la definizione di Luttazzi, ci spinge a ragionare sul carattere fascistoide e falsamente grottesco che l’attuale comicità sta progressivamente assumendo.
Di Valérie Bubbio
L’intrattenimento dilagante propone sempre più spesso contenuti fascistoidi esortando alla fuga nel
disumano e all’agghiacciante annullamento del pensiero critico. L’articolo di Daniele Luttazzi pubblicato
sul Manifesto non può non spingerci a considerare anche sotto questo aspetto i nostri tempi in cui
“il dileggio della vittima è diventato il linguaggio corrente”.

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Da qualche mese Daniele Luttazzi ha aperto sul suo blog una rubrica intitolata La Palestra che nasce come luogo in cui i giovani, e non solo loro, possano allenare ed esibire i propri “muscoli satirici”. Lo scopo primario di questa “palestra”, che riceve circa duemila battute satiriche al giorno, è in realtà quello di approfondire alcune riflessioni sull’attualità “grazie al contributo dei molti” e di rendere consapevole e competente la collettività in quanto pubblico il cui “il gusto comico deve essere educato”. Perché la satira possa ancora esistere e perché si possa combattere “la regressione culturale” che in Italia “è già oltre il livello di guardia”, “occorre” infatti, come scrive l’attore satirico “competenza anche da parte del pubblico (e dei critici)”.

Un discorso a parte, se pur breve e solamente abbozzato, meritano alcuni film la cui utilizzazione impropria del contesto, rende opere di comicità propriamente fascistoide. Uno dei casi forse più evidenti è quello de La vita è bella di Roberto Benigni in cui il contesto viene completamente banalizzato e strumentalizzato ai fini di una risata leggera e semplificante. Non a caso, dopo l’Oscar al film, la comunità intellettuale ebraica di New York ha fortemente criticato la “catarsi bizzarra” del film, come riporta Luttazzi, e la “strumentalizzazione della tragedia dell’olocausto” utilizzata come sfondo drammatico per una narrazione famigliare e sentimentalistica.

Un discorso a parte, se pur breve e solamente abbozzato, meritano alcuni film la cui utilizzazione impropria del contesto, rende opere di comicità propriamente fascistoide. Uno dei casi forse più evidenti è quello de La vita è bella di Roberto Benigni in cui il contesto viene completamente banalizzato e strumentalizzato ai fini di una risata leggera e semplificante. Non a caso, dopo l’Oscar al film, la comunità intellettuale ebraica di New York ha fortemente criticato la “catarsi bizzarra” del film, come riporta Luttazzi, e la “strumentalizzazione della tragedia dell’olocausto” utilizzata come sfondo drammatico per una narrazione famigliare e sentimentalistica.


ΔxΔp ≥ ħ/2

Un teatrante che dallo schermo televisivo parla, tra le altre cose, di meccanica quantistica ci costringe a interrogarci sulle conseguenze della separazione tra cultura umanistica e scientifica.
Di Claudio Deiro

Marco Paolini nel corso del suo spettacolo Miserabili. Io e Margareth Thatcher in onda su LA7,
ha interrogato il pubblico sul Principio di indeterminazione di Heisenberg (che ha più formulazioni, tra cui
quella che costituisce il titolo dell’articolo) e sui principi della termodinamica. Nonostante si tratti
di nozioni basilari, la grande maggioranza del pubblico sembrava ignorarle completamente.

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Marco Paolini interroga il pubblico sul Principio di indeterminazione di Heisenberg, durante lo spettacolo Miserabili. Io e Margareth Thatcher andato in onda su LA7. L’ignoranza dimostrata dalla maggioranza del pubblico spinge a interrogarsi sulla distanza che separa moltissime persone dalle conoscenze scientifiche e ad affermare la necessità della riunificazione di cultura scientifica e umanistica.