Quartucci/Tatò, les neiges d’antan e una breve riflessione su Benjamin

Alcune considerazioni sul lavoro che Carlo Quartucci e Carla Tatò porteranno avanti, tra Roma e Torino, nei prossimi due anni invitano a una riflessione sul teatro di contraddizione e sugli strumenti critici atti a indagarlo. Di Gigi Livio
Nel rimpianto di Villon per le nevi d’una volta non c’è solo l’angoscia per il tempo che passa, ma anche
la nostalgia di una genuinità ormai perduta. Il teatro di contraddizione conosceva proprio questo sentimento
della genuinità; oggi spetta a pochi continuare su quella strada. Ma per comprendere ciò che succede 
è necessario affinare gli strumenti critici, anche sulla scorta di una meditazione su certe posizioni di Benjamin
oggi non più frequentabili senza dubbi e conseguenti messe a punto.

PDF

Senza alcuna intenzione di affrontare qui un problema estremamente complesso: basterà notare che l’affermazione di Mc Luhan “il mezzo è il messaggio” si è rivelata piuttosto precisa e pregnante nella nostra epoca assai più di quanto sembrasse essere al momento della sua formulazione, quarant’anni e più fa . Il guaio è semmai che altre espressioni spettacolari, come il teatro, un tempo sottratte alla tirannia dello strettamente ripetitivo e della resa incondizionata al mercato, oggi sembrano altrettanti “mezzi” tesi soltanto a dare al pubblico ciò che il pubblico sa già di volere ricevere. “Non più messaggi ma massaggi” non è un motto di Mc Luhan -anche se il titolo originale di un suo libro è proprio The medium is the massage– ma di Bartolucci, profeta dell’applicazione del pensiero postmoderno in teatro. L’impostazione che da qualche tempo, anche se l’ispirazione è antica e risale a Camion, Quartucci/Tatò hanno impresso alla loro operazione artistica e cioè il perseguire “l’edificio scenico” e dunque “uno spazio di progetto aperto, uno spazio di ricerca continuo. […] uno spazio drammatizzato, da drammatizzare, uno spazio per l’estensione di un comportamento drammaturgico: un continuum drammaturgico” intende proprio far esplodere lo spazio tradizionale del teatro come medium, come spazio deputato e certe cose che sono ormai solo quelle e non altre. Pur non escludendo momenti dell’azione scenica in teatri veri e propri, la drammatizzazione di qualsiasi spazio in cui si dipana il loro operare (qui un corridoio del piano sotterraneo di Palazzo nuovo a Torino e un’aula dello stesso edificio) è studiata per stimolare gli studenti a partecipare alla loro “immagine sognata, sognante e drammatizzata”.

Senza alcuna intenzione di affrontare qui un problema estremamente complesso: basterà notare che l’affermazione di Mc Luhan “il mezzo è il messaggio” si è rivelata piuttosto precisa e pregnante nella nostra epoca assai più di quanto sembrasse essere al momento della sua formulazione, quarant’anni e più fa . Il guaio è semmai che altre espressioni spettacolari, come il teatro, un tempo sottratte alla tirannia dello strettamente ripetitivo e della resa incondizionata al mercato, oggi sembrano altrettanti “mezzi” tesi soltanto a dare al pubblico ciò che il pubblico sa già di volere ricevere. “Non più messaggi ma massaggi” non è un motto di Mc Luhan -anche se il titolo originale di un suo libro è proprio The medium is the massage– ma di Bartolucci, profeta dell’applicazione del pensiero postmoderno in teatro. L’impostazione che da qualche tempo, anche se l’ispirazione è antica e risale a Camion, Quartucci/Tatò hanno impresso alla loro operazione artistica e cioè il perseguire “l’edificio scenico” e dunque “uno spazio di progetto aperto, uno spazio di ricerca continuo. […] uno spazio drammatizzato, da drammatizzare, uno spazio per l’estensione di un comportamento drammaturgico: un continuum drammaturgico” intende proprio far esplodere lo spazio tradizionale del teatro come medium, come spazio deputato e certe cose che sono ormai solo quelle e non altre. Pur non escludendo momenti dell’azione scenica in teatri veri e propri, la drammatizzazione di qualsiasi spazio in cui si dipana il loro operare (qui un corridoio del piano sotterraneo di Palazzo nuovo a Torino e un’aula dello stesso edificio) è studiata per stimolare gli studenti a partecipare alla loro “immagine sognata, sognante e drammatizzata”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *