Comicità fascistoide. I tempi duri della “satira che non c’è”

“La satira che non c’è”, secondo la definizione di Luttazzi, ci spinge a ragionare sul carattere fascistoide e falsamente grottesco che l’attuale comicità sta progressivamente assumendo.
Di Valérie Bubbio
L’intrattenimento dilagante propone sempre più spesso contenuti fascistoidi esortando alla fuga nel
disumano e all’agghiacciante annullamento del pensiero critico. L’articolo di Daniele Luttazzi pubblicato
sul Manifesto non può non spingerci a considerare anche sotto questo aspetto i nostri tempi in cui
“il dileggio della vittima è diventato il linguaggio corrente”.

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Da qualche mese Daniele Luttazzi ha aperto sul suo blog una rubrica intitolata La Palestra che nasce come luogo in cui i giovani, e non solo loro, possano allenare ed esibire i propri “muscoli satirici”. Lo scopo primario di questa “palestra”, che riceve circa duemila battute satiriche al giorno, è in realtà quello di approfondire alcune riflessioni sull’attualità “grazie al contributo dei molti” e di rendere consapevole e competente la collettività in quanto pubblico il cui “il gusto comico deve essere educato”. Perché la satira possa ancora esistere e perché si possa combattere “la regressione culturale” che in Italia “è già oltre il livello di guardia”, “occorre” infatti, come scrive l’attore satirico “competenza anche da parte del pubblico (e dei critici)”.

Un discorso a parte, se pur breve e solamente abbozzato, meritano alcuni film la cui utilizzazione impropria del contesto, rende opere di comicità propriamente fascistoide. Uno dei casi forse più evidenti è quello de La vita è bella di Roberto Benigni in cui il contesto viene completamente banalizzato e strumentalizzato ai fini di una risata leggera e semplificante. Non a caso, dopo l’Oscar al film, la comunità intellettuale ebraica di New York ha fortemente criticato la “catarsi bizzarra” del film, come riporta Luttazzi, e la “strumentalizzazione della tragedia dell’olocausto” utilizzata come sfondo drammatico per una narrazione famigliare e sentimentalistica.

Un discorso a parte, se pur breve e solamente abbozzato, meritano alcuni film la cui utilizzazione impropria del contesto, rende opere di comicità propriamente fascistoide. Uno dei casi forse più evidenti è quello de La vita è bella di Roberto Benigni in cui il contesto viene completamente banalizzato e strumentalizzato ai fini di una risata leggera e semplificante. Non a caso, dopo l’Oscar al film, la comunità intellettuale ebraica di New York ha fortemente criticato la “catarsi bizzarra” del film, come riporta Luttazzi, e la “strumentalizzazione della tragedia dell’olocausto” utilizzata come sfondo drammatico per una narrazione famigliare e sentimentalistica.


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