L’arbitro, Kaspar Hauser e il fantasma di Ciprì e Maresco

Presentiamo qui qualche riflessione sull’uso del bianco e nero nel film L’arbitro di Paolo Zucca, con riferimenti a La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli e un accenno al cinema di Ciprì e Maresco.Di Enrico A. Pili

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Una scena dell’Arbitro di Zucca: la croce è una delle tante che segnano la strada che porta la Pabarilese al campo nel quale questa subirà la sconfitta che le precluderà la possibilità del primo posto in classifica, nonché richiamo esplicito alla religione cristiana. Le implicazioni simboliche sono chiare, come anche quelle cinematografiche (l’immagine, come denunciato dal formato panoramico, vuole richiamare il cinema di Sergio Leone e le croci possono richiamare i cimiteri improvvisati di tanti spaghetti western, con tutto il cascame simbolico che ne deriva), ma rimangono suggestioni superficiali, incapaci di costituirsi in elementi di interesse.

Due immagini del film La leggenda di Kaspar Hauser di Manuli: i luoghi sono resi spogli e desolati al fine di farne risaltare il vuoto, e di riflesso la presenza ingombrante e acriticamente straniante di frammenti erosi di civiltà occidentale (come l’apparecchiatura da dj o il duello da film western).

Due immagini del film La leggenda di Kaspar Hauser di Manuli: i luoghi sono resi spogli e desolati al fine di farne risaltare il vuoto, e di riflesso la presenza ingombrante e acriticamente straniante di frammenti erosi di civiltà occidentale (come l’apparecchiatura da dj o il duello da film western).

Elogio di Claudio Remondi, poeta del teatro

A febbraio è morto Claudio Remondi. Il suo operare teatrale può venire sintetizzato nell’affermare che fu, insieme al suo compagno d’arte Riccardo Caporossi, un “poeta del teatro”. Non è possibile dire in poche parole cosa questa definizione significhi, ma l’articolo si impegna a cercare di spiegarlo. Di Gigi Livio

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Clouzot, Il corvo e il naturalismo critico

L’analisi del film di Clouzot Il corvo può essere l’occasione per riflettere sull’opera di un grande regista-sceneggiatore e per parlare di un problema di cui la nostra rivista si occupa spesso, ovvero il problema del naturalismo critico. Di Enrico A. Pili

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Nel 1947 Clouzot gira Quai des Orfèvres, film che doveva segnare il suo ritorno in punta di piedi nel mondo del cinema e che invece vince il leone d’oro al festival di Venezia. Il film è effettivamente molto più convenzionale del precedente Le Corbeau. Illuminante, da questo punto di vista, è confrontare due scene in cui un personaggio si guarda allo specchio: in Le Corbeau Marie Corbin, inseguita da una folla di forcaioli, raggiunge la sua casa e la trova devastata. Si guarda allora in uno specchio rotto, realizzando forse la sua frattura interiore, dovuta al suo trovarsi improvvisamente espulsa dalla comunità. La scena non ha musica di accompagnamento. In Quai des Orfèvres invece abbiamo un’impostazione più tradizionale: Maurice (Bernard Blier) si guarda allo specchio dopo aver deciso di uccidere quello che crede l’amante della compagna. La musica suggerisce didascalicamente che l’atmosfera è molto tesa. Ancor più didascalicamente sentiamo, mentre Maurice si guarda allo specchio, i pensieri di Maurice. Mentre Marie Corbin viene costruita in un modo che preservi l’estrema ambiguità del personaggio, l’interiorità di Maurice viene esteriorizzata in una maniera che appiattisce il personaggio.

Nel 1947 Clouzot gira Quai des Orfèvres, film che doveva segnare il suo ritorno in punta di piedi nel mondo del cinema e che invece vince il leone d’oro al festival di Venezia. Il film è effettivamente molto più convenzionale del precedente Le Corbeau. Illuminante, da questo punto di vista, è confrontare due scene in cui un personaggio si guarda allo specchio: in Le Corbeau Marie Corbin, inseguita da una folla di forcaioli, raggiunge la sua casa e la trova devastata. Si guarda allora in uno specchio rotto, realizzando forse la sua frattura interiore, dovuta al suo trovarsi improvvisamente espulsa dalla comunità. La scena non ha musica di accompagnamento. In Quai des Orfèvres invece abbiamo un’impostazione più tradizionale: Maurice (Bernard Blier) si guarda allo specchio dopo aver deciso di uccidere quello che crede l’amante della compagna. La musica suggerisce didascalicamente che l’atmosfera è molto tesa. Ancor più didascalicamente sentiamo, mentre Maurice si guarda allo specchio, i pensieri di Maurice. Mentre Marie Corbin viene costruita in un modo che preservi l’estrema ambiguità del personaggio, l’interiorità di Maurice viene esteriorizzata in una maniera che appiattisce il personaggio.

L’Enfer, iniziato nel 1964 e mai terminato, doveva essere un esperimento formale radicale, in risposta alle nuove tendenze del cinema mondiale e a quella critica francese (Truffaut in testa) che lo aveva marchiato come passé. Del film restano tredici ore di girato, sulle quali Serge Bromberg ha realizzato il bellissimo documentario L’Enfer d’Henri-Georges Clouzot nel 2009, e diverse testimonianze che ci svelano l’interesse di Clouzot nel realizzare un’opera in cui fosse cancellato il confine tra l’interiorità del personaggio di Serge Reggiani, un marito geloso ossessionato dalla paura di essere tradito dalla giovane moglie, e il mondo da questo abitato.

L’Enfer, iniziato nel 1964 e mai terminato, doveva essere un esperimento formale radicale, in risposta alle nuove tendenze del cinema mondiale e a quella critica francese (Truffaut in testa) che lo aveva marchiato come passé. Del film restano tredici ore di girato, sulle quali Serge Bromberg ha realizzato il bellissimo documentario L’Enfer d’Henri-Georges Clouzot nel 2009, e diverse testimonianze che ci svelano l’interesse di Clouzot nel realizzare un’opera in cui fosse cancellato il confine tra l’interiorità del personaggio di Serge Reggiani, un marito geloso ossessionato dalla paura di essere tradito dalla giovane moglie, e il mondo da questo abitato.

Il Fringe, il teatro di strada e un’occasione mancata dal pubblico

In maggio si è svolto a Torino il Fringe Festival. In strada si sono esibiti diversi gruppi di variati e variegati spettacoli. L’articolo prende in considerazione il così detto “teatro di strada” e, attraverso due esempi, cerca di indagare le reazioni del pubblico di fronte a due esibizioni di diverso livello tecnico. Di Ariela Stingi

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Alcune riflessioni sul cinema e sugli attori, da un dialogo con i registi Massimiliano e Gianluca De Serio

Gianluca e Massimiliano De Serio sono due fratelli gemelli che condividono la passione per il cinema, da più di dieci anni scrivono sceneggiature e realizzano film, l’interesse per il cinema e per il teatro arriva quando sono ancora bambini. Di Daniela De Luca

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I fratelli De Serio.

Gould il lupo. Antagonismo in forma di contrappunto

Il radiodramma in concerto di Monica Luccisano invera sulla scena del Teatro Baretti di Torino l’hölderiana unità del colloquio – nel senso dato da Heidegger – fra Glenn Gould e Arnold Schönberg, “in tal modo che”, nella dissonanza della polifonia e cioè nella negazione dell’unità, si “rende possibile l’incontro” e l’esperienza di un autentico ascolto. Di Letizia Gatti

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I numerosi programmi radiofonici realizzati da Glenn Gould per la Canadian Broadcasting Corporation (CBC), negli anni Sessanta e Settanta, hanno come motivo dominante il tema della solitudine e dell’isolamento. Si pensi in particolare a The Idea of NorthThe LatecomersThe Quiet in the Land, “radiodrammi in forma di contrappunto”, conosciuti poi sotto il titolo unico di Solitude Trilogy.

Jonathan Cott Consideriamo l’idea della radio come metafora della solitudine. […] Perché pensi di essere tanto interessato a questo medium introspettivo?
Glenn Goud[…] Non so quale dovrebbe essere l’esatto rapporto, ma ho sempre avuto l’impressione che, per ogni ora trascorsa in compagnia di altri esseri umani, si ha bisogno di x ore da soli. Ora, che cosa questa x rappresenti, davvero io non lo so; potrebbe essere 2 e 7/8 o 7 e 2/8, ma si tratta comunque di un rapporto sostanziale. La radio, comunque, è sempre stata un medium con cui fin da bambino ho avuto rapporti stretti, ascoltandola praticamente ininterrottamente: mi spiego, per me è una specie di sottofondo – io dormo con la radio accesa, anzi non riesco a dormire senza la radio, specie da quando ho smesso di prendere il Nembutal [ride].

Jonathan Cott
 Consideriamo l’idea della radio come metafora della solitudine. […] Perché pensi di essere tanto interessato a questo medium introspettivo?
Glenn Goud[…] Non so quale dovrebbe essere l’esatto rapporto, ma ho sempre avuto l’impressione che, per ogni ora trascorsa in compagnia di altri esseri umani, si ha bisogno di x ore da soli. Ora, che cosa questa x rappresenti, davvero io non lo so; potrebbe essere 2 e 7/8 o 7 e 2/8, ma si tratta comunque di un rapporto sostanziale. La radio, comunque, è sempre stata un medium con cui fin da bambino ho avuto rapporti stretti, ascoltandola praticamente ininterrottamente: mi spiego, per me è una specie di sottofondo – io dormo con la radio accesa, anzi non riesco a dormire senza la radio, specie da quando ho smesso di prendere il Nembutal [ride].



Moocs

moocs, corsi “massivi”, aperti, online, hanno raggiunto il grande pubblico e possono forse rappresentare l’occasione per ripensare il sistema dell’istruzione di massa. Di Claudio Deiro

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Il prof. Dan Boneh, Stanford University, durante la RSA Conference US 2013, parla anche della sua esperienza come docente di moocs. Video disponibile, in inglese, su YouTube: http://www.youtube.com/watch?v=eKhudJCGoJc.

Un fotogramma del corso Etherogeneus Parallel Programming del prof. Wen-Mei Hwu, University of Illinois at Urbana Champaigne, su Coursera. In questa piattaforma i corsi hanno una data di inizio precisa e tempi di svolgimento determinati. Inoltre il personale docente è attivamente presente durante lo svolgimento del corso per rispondere alle domande degli studenti sul forum ed eventualmente adattare il percorso didattico a esigenze e interessi espressi dagli studenti.

Un quiz parte del corso Debugging del prof. Andreas Zeller, Saarland University, su Udacity. Qui è possibile iniziare il corso quando si vuole e seguirlo secondo le proprie esigenze, ma la presenza del personale docente è minore o inesistente.

Brevi note sull’Amleto di Malosti

L’Amleto di Malosti è uno spettacolo interessante e ricco di spunti per il critico. Propongo qui alcune brevi riflessioni su ciò che ho visto soffermandomi soprattutto sulla recitazione dell’attore-regista. Di Gigi Livio

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Valter Malosti, ormai giunto alla sua maturità d’attore, recita in modo interessante tanto da poter essere iscritto alla modalità del “naturalismo critico”. Si colloca cioè in quell’area dello stile della recitazione non arreso al naturalismo imperante e, dunque, frequentante una declinazione di questo modo di essere sul palcoscenico in modo tale da lasciare spazio all’intervento critico dello spettatore.