L’ostinata lotta di Buster

Si torna oggi a parlare e a vedere i film di Keaton. Comico fra i più grandi e insuperati della storia del cinema, ha rivoluzionato il linguaggio artistico del suo tempo: con lucidità e un tocco di grazia.Di Donatella Orecchia

Quello sguardo sbigottito, carico di malinconica estraneità e quella tensione ostinata e irriducibile alle regole del mondo che lo circonda sono il suo modo di guardare all’America degli anni ’20 e le trasformazioni di una società sempre più industrializzata, massificata ma proprio piena di contraddizioni.
 
Con uno stile particolarissimo: astratto, antipsicologico, antinarrativo, antidrammatico, straniato, prosciugato da ogni umore sentimentale, essenziale e, paradossalmente, anticomico. Senza tentazioni consolatorie. Senza un sorriso. Così Keaton ha detto e continua oggi a dire che l’arte (come forma di conoscenza) può far saltare i codici, che l’ideologia dominante vorrebbe naturali, con cui si guarda la realtà.

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Primo piano di Buster Keaton: lo sguardo attonito di chi guarda un mondo alla cui ferrea e brutale logica resta estraneo, senza un sorriso, senza un cenno di confidenza ammiccante con lo spettatore. ‘Quando un comico comincia a ridere sullo schermo è come se dicesse al pubblico di non prenderlo sul serio, che il tutto non è che uno scherzo’ (B. Keaton).

Sherlock Jr., 1924. Buster Keaton fissa con sguardo interdetto il ferri del mestiere e i generi della tradizione cinematografica che la sua opera mette continuamente in discussione.

Go West, 1925. Friendless, protagonista solitario (di nome e di fatto) della pellicola, qui in una caratteristica inquadratura dei film di Keaton: ripresa frontale, campo lungo, spazio dalla linearità geometrica, figura intera, stilizzata, che ha tutta l’astrazione di un disegno.

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