Due pagine di Emilio Vedova

‘Vedova ci dimostra che l’artista, servendosi di mezzi puramente pittorici, può levare molto alto il suo grido di allarme per la società del nostro tempo’.
A. Tapies, 
Vedova, in “Papeles de son Armadans”, Palma de Mallorca 1962).
Di Maria Pia Petrini

Riproporre nel nostro retroterra due pagine di Emilio Vedova ha, ovviamente, un significato ben
preciso: l’artista veneziano ci parla di pittura come lotta, di uomini che hanno necessità di gridare, 
pur nel deserto, di dichiarazioni d’intenti, di speranze, di verità che vanno prese ‘per la gola’. 
Questo dovrebbe ancora essere il nostro presente.

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Emilio Vedova, … da dove … ’83-5 (cm 235×235), pittura 
su tela, 1983 

“Astratto?” – I miei agganci sprofondano nel “reale”, ma dove comincia e finisce il reale? La vita, in un continuum, da infinita e mai chiusa sperimentazione ti porta a estremi di testimonianza, in aperta articolazione.
“Scontri?”…, “No”…? «la complessità è fatta anche di sesso, di azzurro, di amore – ma per me (scrivevo) contrastata, lacerata… da sbarre, da ritmi, di ingiusto fatto». 

(Emilio Vedova, Stralci di quaderni/studio, 1980-1983)



Emilio Vedova, Immagine del tempo, olio su tela (cm 145×145), 1958-59 

[…] L’artista è libero per la sua esplorazione, come lo è lo scienziato che non domanda il permesso a nessuno per una scoperta. Non esistono soltanto scoperte scientifiche, esistono scoperte pittoriche.
La coscienza della libertà implica il superamento delle culture ultime, implica l’ubbidienza ai perentori dentro di noi, nella perseveranza accanita, nella rimessa in discussione diuturna, nella responsabilità totale.
Vivere nella coscienza significa vivere nella tensione, per toccare sprazzi, attimi di verità.
Aprire forse ancora una porta, o solo una fessura, per infinite altre porte da aprire. 

(Emilio Vedova, Tutto va rimesso in causa, 1954)

Gli intellettuali senza classe secondo Furedi

È uscito un nuovo libro di Frank Furedi per i tipi di Cortina, Che fine hanno fatto gli intellettuali? I filistei del XXI secolo. Di Armando Petrini

Furedi è molto efficace in questo libro nello stigmatizzare il “filisteismo” degli intellettuali, sempre 
più impegnati a promuovere un’indistinta “partecipazione” alle manifestazioni culturali 
piuttosto che a stimolare il formarsi di un autentico pensiero critico.

Meno efficace ci pare invece Furedi nel mettere a fuoco le cause di questo dilagante filisteismo. 
Che non risiedono tanto in una sconfitta dell’intelligenza (come argomenta Furedi), ma soprattutto 
nel venire meno della sfida culturale come motore nevralgico del conflitto: conflitto delle idee, innanzi tutto, 
ma anche conflitto sociale.

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I silenzi di Riccardo Caporossi.

Note a margine del laboratorio svoltosi a Biella nel 
giugno scorso.
 Di Maria Vittoria Muzzupapa
Alle volte sintesi, silenzio, immobilità si dimostrano molto più efficaci e (tanto più) comunicativi 
di qualunque gesto o parola. In un momento in cui dominano chiasso, colori e rumori e ci si ritiene 
soddisfatti solo se abbacinati e avvolti da un’iperstimolazione sensoriale, spicca la figura di un 
teatrante silenzioso.
Claudio Remondi e Riccardo Caporossi lavorano insieme ed entrambi si distinguono per la grande 
sobrietà, sia personale che artistica. Infatti in tutte le forme d’arte in cui Caporossi si esprime, disegni,
recitazione, creazione di scenografie, il filo conduttore è l’essenzialità.

Questa caratteristica non è segno di banalità. Dimostra, al contrario, come l’attenzione possa essere
suscitata senza ricorrere a gesti clamorosi; come il silenzio possa indurre alla riflessione; soprattutto 
come il caos e il disordine in cui viviamo possano portare a un tipo di azione 
(nel senso etimologico del termine) di segno totalmente opposto.

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Riccardo Caporossi. Aleppe

Riccardo Caporossi. Aleppe

Riccardo Caporossi. Aleppe

La Finlandia di Aki Kaurismäki.

Il libro di Peter von Bagh è un appassionante viaggio nel mondo 
del regista.
 Di Mariapaola Pierini

Nell’epoca del trionfo degli extra e del culto un po’ voyeuristico del back stage, il colloquio continua 
a serbare il fascino di un evento a cui non ci è dato di assistere, ma al quale paradossalmente ci 
sembra di partecipare in modo più diretto e appassionato. 

Il libro di Peter von Bagh (Aki Kaurismäki. Dialogo sul cinema, la vita, la vodka, uscito recentemente 
da ISBN in collaborazione con la Cineteca di Bologna), che contiene il colloquio tra il critico e 
Aki Kaurismäki, offre al lettore proprio questo senso di vicinanza, il privilegio di avvicinarsi a un regista
tra i più grandi e sfuggenti del cinema contemporaneo.

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Aki Kaurismäki


Leo parla di Perla.

Nel novembre del 1977 usciva, sulla rivista Quarta parete, diretta da Gigi Livio e Ruggero Bianchi, un colloquio con Leo De Berardinis e Perla Peragallo.

Al fondo dell’intervista compare una nota, che recita testualmente: “Questa chiacchierata – intervista con 
Leo De Berardinis è stata raccolta in un albergo torinese il pomeriggio del 27 marzo 1976 da Ruggero Bianchi e 
Gigi Livio. È sempre stata presente, per tutta la durata della registrazione, Perla Peragallo: la sua partecipazione 
alla discussione è stata attiva con gesti, espressioni, sguardi, con quella sua mimica intensa e disperata;
ma non ha parlato mai. E poiché non è possibile registrare su nastro per sole voci le espressioni, i gesti eccetera, 
ben poco resta, in questa trascrizione, del suo contributo alla discussione”. 

Riportiamo qui uno stralcio del colloquio, nel quale Leo De Berardinis descrive in modo estremamente incisivo e 
pregnante l’arte d’attore di Perla.

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È morta Perla

Perla Peragallo è morta a Roma il 20 agosto. Attrice eccezionale del teatro di contraddizione si era ritirata dalle scene nel 1981. Di Gigi Livio

La morte di Perla Peragallo, avvenuta a Roma il 20 agosto, non toglie ormai più nulla al teatro che 
ormai la meravigliosa attrice aveva abbandonato nel 1981 a solo 38 anni. E lo aveva abbandonato 
perché riteneva di non avere più nulla da dire e di essere entrata in una fase di ripetitività e “finzione”. 
Infatti Perla in scena non fingeva avendo saputo portare l’arte dell’attore al suo apice che coincide 
con la sua fine nella totale identificazione arte-vita.


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Perla Peragallo in Assoli (1977). 
In questo splendido “primo piano” vediamo Perla, bellissima, con il volto deformato dalla rabbia e dalla sofferenza urlare l’impossibilità del teatro in un mondo che non vuole più saperne dell’arte.



Leo De Berardinis e Perla Peragallo in Avita murì (1978). 
Qui Leo è uno scalcagnato Pulcinella e Perla una Colombina da strapazzo che si aiuta a camminare con stampelle inutili perché poi cammina benissimo. 
I loro battibecchi e le loro contrapposizioni risultano del tutto inutili in un’atmosfera sfatta e evanescente che evoca in modo comico-tragico e infine straziato la fine del teatro mentre la locandina recitava: “Spettacolo comico in due tempi molto tragico”.

Vladimir Majakovskij: per una poesia come “arma” politica

Un breve e folgorante ‘manualetto’ di consigli ‘pratici’ per aspiranti poeti di uno dei più grandi artisti del Novecento. Di Donatella Orecchia

“Bisogna mandare in frantumi la fiaba dell’arte apolitica”: così scrive Vladimir Majakovskij nel 
1926 in un breve e folgorante ‘manualetto’ di consigli ‘pratici’ per aspiranti poeti.

Oggi, in un clima politico e culturale mutato e che in nulla sembra somigliare a quello della Russia post-rivoluzionaria, quelle pagine restano di un’incredibile attualità: per la forza e la nettezza 
con cui richiamano la necessità di un’arte intesa come “arma” per la lotta culturale, per nulla astratta, 
per nulla neutrale.

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Vladimir Majakovskij (1893-1930)

“Contro il ’68”. Un pamphlet di Alessandro Bertante riapre la discussione sulla contestazione giovanile

A quasi quarant’anni dal sessantotto, la stagione del “movimento” merita ancora un supplemento d’indagine. Di Armando Petrini
Il libro di Bertante è uno scritto molto interessante, forse non in tutte le sue parti ugualmente condivisibile, 
ma comunque capace di toccare alcuni nervi scoperti del sessantotto e soprattutto della sua complessa 
e pesante eredità. Particolarmente convincente ci pare l’assunto di fondo del saggio, che coincide poi con 
una interpretazione complessiva della contestazione giovanile.
Il sessantotto non sarebbe, da questo punto di vista, l’ultima grande fiammata rivoluzionaria del Novecento, 
la cui sconfitta avrebbe determinato quel “ritorno all’ordine” affermatosi poi negli anni ottanta e novanta. 
Al contrario, il sessantotto coinciderebbe in realtà proprio con l’avvio contraddittorio di una forma di 
“antipolitica” che giungerà a maturazione solo con i primi anni Ottanta: il 68 dunque paradossalmente inaugurerebbe il “ritorno all’ordine” che sfocerà poi, più avanti, nell’epoca postmoderna. 

Già Peppino Ortoleva, nel ventennale del sessantotto, scriveva che “uno degli aspetti più enigmatici 
dell’intero ’68″ andrebbe individuato nell’”intreccio complessivo fra spinte politiche e spinte antipolitiche”.

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Lo spettacolo della cultura. In margine alla Fiera del Libro di Torino

Precorritrice a suo modo della logica del “grande evento”, la Fiera del Libro propone una concezione della cultura ridotta a “spettacolo” Di Armando Petrini

Si è conclusa il 14 maggio scorso la Fiera del Libro di Torino. Un “grande evento” che ha visto riprodursi una concezione spettacolaredella cultura, nascosta sotto la retorica insistita dell’”invito alla lettura” (peraltro in contraddizione con i dati 
che riferiscono di un calo drastico della diffusione del libro fra i più giovani). 

La categoria novecentesca di industria culturale consente di indagare più in profondità il significato e anche le contraddizioni presenti in una manifestazione come la Fiera del Libro.

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Come si comporta il pensiero unico

Un articolo di Andrea Bajani sulla situazione dei lavoratori in Romania dà lo spunto per una riflessione sul pensiero unico e cioè su quel modo di leggere la realtà per cui se questa non è conforme al modo di vedere preteso come giusto per tutti semplicemente non esiste. Di Gigi Livio

In un articolo su un quotidiano Andrea Bajani, scrittore che vive a Torino, ha osato riportare l’opinione di molti lavoratori 
rumeni sul fatto “che quando c’era Ceausescu si pativa di gran lunga di meno la fame, rispetto agli ultimi anni”. 

Reagisce immediatamente un giornalista di chiara impostazione politica, certo Dario Fertilio: impossibile, ciò non rientra 
nei canoni del nostro modo di pensare e di leggere la storia e quindi semplicemente non può essere! È questa una 
decisa applicazione di quello che giustamente viene definito come pensiero unico.

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