Gli amori folli di Alain Resnais

Uno dei migliori film usciti quest’anno nei cinema italiani è certamente Gli amori folli, un’opera che allontana sempre più Alain Resnais dagli stereotipi che l’hanno voluto in passato compagno dei “giovani turchi” della Nouvelle Vague. Di Enrico A. Pili

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Nella sequenza di apertura del film (in basso) la macchina da presa si avvicina in soggettiva all’ingresso di un tempietto buio, fino a entrarvici, precipitando tutta l’inquadratura nel nero più assoluto. Si può qui trovare un richiamo piuttosto esplicito a una scena di Strade Perdute di David Lynch (1997, in alto) nella quale Bill Pullman scompariva nell’oscurità del suo studio (una stanza che nel film era leggibile come spazio metaforico dell’inconscio e del rimosso del personaggio). Naturalmente nel film di Resnais l’oscurità del cubicolo non va letta simbolicamente, piuttosto può essere vista come un ulteriore gioco, uno scherzo registico che, come il finale del film, imita certe tecniche lynchiane per creare uno stato di tensione nello spettatore, portato ad aspettarsi un clima enigmatico e onirico che non arriverà mai.

Slavoj Zizek, un parresiasta contro

Per superare i fallimenti della sinistra novecentesca e poter formulare una nuova «ipotesi comunista» è necessario affrontare il secolare problema del superamento del capitalismo con il coraggio di “un´analisi impegnata ed estremamente parziale”, come afferma il filosofo di Lubiana nelle prime pagine del suo ultimo saggio First as Tragedy, Than as Farce. Di Letizia Gatti

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Memoria ad accesso casuale

Un’enciclopedia vuole essere una summa della conoscenza globale, a cui poter attingere rapidamente, quanto interessa, ottenendo informazioni il più possibile verificate e certificate, una specie di memoria collettiva ad accesso casuale. Wikipedia è oggi forse la più grande, certamente la più disponibile, probabilmente la più controversa, fonte di informazione enciclopedica. Cerchiamo qui di discuterne alcune delle criticità. Di Claudio Deiro

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Carlo Quartucci e Carla Tatò all’Università di Roma Tre. Immagini d’artista

Prosegue il “viaggio attraverso il teatro” intrapreso da Carla Tatò e Carlo Quartucci. Il laboratorio tenuto nell’aula Columbus dell’Università di Roma Tre ci spinge a considerare
da una prospettiva diversa le possibilità di contraddizione che l’arte d’avanguardia
può avere ancora oggi.
 Di Valérie Bubbio
Il margine di possibilità che si presenta ancora frequentabile dall’arte per contrapporsi con forza
al dio mercato regolatore di ogni cosa risulta oggi come oggi sempre più ristretto. Il coraggio di coloro
che continuano a lottare senza tregua cercando nuovi spazi e nuovi modi all’interno di questo
margine ormai limitatissimo restituisce una vena di speranza ai tempi bui che stiamo attraversando.
Oggi più che mai è necessario valorizzare lo sforzo di quei rarissimi artisti che si pongono
un passo avanti, tra avanguardia e tradizione, alle disposizioni culturali di una società votata allo spettacolo
e all’intrattenimento.

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Carlo Quartucci contempla sognante ed assorto le azioni che continuano a palesarsi sul palco con gli occhi di chi è ancora in grado di stupirsi e di stupire e di chi riesce a trasporre un’idea di teatro in atto scenico concreto. Quando tutti i ragazzi hanno abbandonato la platea superando la linea che separa il pubblico dal palco il Maestro li invita a formare un semicerchio intorno a lui. In questo modo anche lo spettatore si trasforma in attore in quanto individuo che agisce e partecipa prendendo voce in uno “zoo di pensieri” divenuto sogno in azione.

John Heartfield e gli eredi del fotomontaggio

Grazie alla mediazione situazionista, i fotomontaggi allo stile di Heartfield arrivano al punk anarchico, che li utilizza come armi di critica verso ogni tipo di autoritarismo, di militarismo, di repressione dell’individuo. Di Enrico Pili
Heartfield, vissuto tra il 1891 e il 1968, ha creato e sviluppato il fotomontaggio satirico politico,
intuendone l’enorme potenziale comunicativo derivante da una diffusione di massa. Qualcosa di simile
accade nella scena punk anarchica, dove il fotomontaggio heartfieldiano è utilizzato per le
copertine dei dischi, fanzine, manifesti dei concerti e volantini politici, che grazie a internet trovano
oggi un’inedita utenza internazionale.

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Uno dei più efficaci fotomontaggi di Heartfield risale al 16 ottobre 1932: le parole di Hitler (“milioni sono dietro di me”) vengono trasfigurate e accompagnate dal commento “un piccolo uomo chiede grandi regali”, rivelando la realtà dei rapporti del führer con industriali e latifondisti agrari, che come è accaduto con il fascismo italiano hanno finanziato sonoramente l’ascesa del partito nazionalsocialista e le sue violenze. Il finanziatore occulto naturalmente non ha volto, pretendendo di nascondersi dietro la “mosca cocchiera” d’oltralpe.

Questo collage si trova all’interno di Object Refuse Reject Abuse, EP dei D.I.R.T. prodotto dai Crass nel 1981. Simboli e allegorie sono numerosi ma anche di facile decifrazione, finalizzati ad un impatto forte e immediato sull’”ascoltatore-spettatore”. In basso a sinistra una celebre foto del 1937 mostra dei poveracci in fila per un piatto di minestra mentre il manifesto alle loro spalle propaganda gli standard di vita “migliori del mondo” e strombazza “There’s no way like the American Way”. Dietro questa foto compaiono però poliziotti in assetto antisommossa pronti a caricarle gli affamati, perchè è così che gli USA raeganiani viene risolto il problema della povertà. I D.I.R.T. ci dicono che è la repressione a garantire quello “standard di vita”. Questo mentre sulla destra un pacifista mette un fiore nel fucile di un poliziotto (ascoltando il disco si capisce che l’accostamento è ironico e che l’azione del ragazzo è inutile e ipocrita). Su questa azione si stagliano sogni di palingenesi, dietro i quali si staglia l’incubo nucleare (negli anni ottanta si temeva un’imminente guerra nucleare). Sul suddetto sogno (in particolare sul suo autore, sull’uomo bianco) incombe il cadavere di un bambino africano, a ricordargli la falsità di quel vuoto slogan che vorrebbe dei neri schiavizzati e sorridenti. In alto a sinistra alcune immagini di animali ricordano l’impegno del gruppo contro la vivisezione e il consumo della carne.

Ecco una delle più evidenti citazioni da Heartfield. A sinistra un fotomontaggio di Heartfield del 1960 che rappresenta una colomba infilzata da una baionetta tedesca e augura speranzoso che “mai più” si ripetano le atrocità naziste. A destra la copertina di Never Again dei Discharge (1982), EP sulla guerra fredda e sul peso dell’Inghilterra nella vendita di armi nel terzo mondo. Anche loro dicono “mai più”, ma sapendo bene che le atrocità continuano.

L’EP Finirà mai? (1984) dei milanesi Wretched presenta in copertina alcune foto di guerra (un cacciabombardiere e una bomba al tritonal, mix di materiale esplosivo e alluminio, usata nei bombardamenti aerei) e dei bambini neri denutriti. C’è un rimando alla guerra in Libano dell’82-84, contro la quale i Wretched si erano già mobilitati (tanto musicalmente quanto con volantinaggi). Le scritte rendono il discorso più ampio e attaccano non solo le strategie delle guerre “democratiche”, ma anche l’impianto coloniale dei rapporti tra Occidente e Africa (i bambini sono africani, non libanesi) e la democrazia come sistema politico basato su armi, potere, sfruttameno, oppressione, morte, paura.

La banalità dell’ovvio

Due ascolti brevi e casuali danno insieme spunto e conferma, ancora una volta, del rapporto tra naturalismo nelle arti dello spettacolo e potere. Di Gigi Livio

L’impostazione naturalistica nelle arti – che si svela in quanto tale attraverso l’intenzione di chi scrive, recita, eccetera di fare immedesimare il lettore o lo spettatore nel personaggio – sembra oggi non essere più messa in discussione ma accettata
come dato costitutivo dell’arte stessa. Contraddire questa impostazione e portare avanti l’ipotesi autenticamente antagonistica
di un’arte critica, che faccia pensare e non si limiti a intrattenere e ‘divertire’, è oggi più che mai il compito di una critica
che intenda non abdicare alla propria funzione piegandosi ossequiente alle direttive culturali del potere.

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