Morganti-Beckett; e un doveroso accenno a Rem & Cap

L’amara sorte del servo Gigi di Claudio Morganti verrà presentato al teatro Milanollo di Savigliano la sera del 28 marzo 2006. Di Gigi Livio
Claudio Morganti, costretto a reinventarsi un testo dopo il diniego da parte degli eredi alla rappresentazione dell’Ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, scrive e recita L’amara sorte del servo Gigi che è un geniale ricalco del testo beckettiano. Straordinaria la recitazione di Morganti che riesce a coniugare tragico e comico in modo assolutamente originale sfruttando con maestria una voce, un volto e un corpo che sanno tendere al patetico-drammatico e rovesciarlo nello sberleffo irridente, ma senza gioia e con cupa disperazione. È l’arte teatrale dei nostri giorni ben al di là dell’orpellata società dello spettacolo quale si vede anche, in questi giorni, nella Torino olimpica.

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Dopo aver recitato con Carlo Cecchi, Alfonso Santagata (a sinistra) e Claudio Morganti formano una compagnia che immediatamente si distingue, all’interno del teatro cosiddetto di sperimentazione, per una sua cifra particolare che sa coniugare il grottesco al drammatico portando avanti un discorso che intende contraddire il teatro così com’è e così come ci è stato tramandato da una tradizione antica. Ma, nel fare questo, Santagata-Morganti non rinunciano alla storia del grande attore che vive soprattutto in Morganti e nelle sua eccezionale capacità di divenire teatro.



Morganti inizia poi un percorso autonomo: è questa una fotografia di scena di Serata di gala. Omaggio a Pinter, 2003. Vediamo qui la grande capacità dell’attore nell’usare il corpo e il volto in funzione del risultato artistico che intende ottenere. Irridente e irrisore, ma soprattutto di se stesso, nel proporsi in una posa, in un gesto e in un’espressione mimica che forza i limiti del naturalismo in senso grottesco.

È questa una fotografia di scena dell’Amara sorte del servo Gigi: Morganti, truccato da vecchio, ascolta i nastri registrati di un se stesso di molti anni prima. Il volto contratto nell’attenzione, ma anche nella rabbia per ciò che quel sé ora estraneo a sé sta dicendo, esprime in modo profondo e ricco il dramma della vecchiaia in un mondo che quella stagione della vita non sa più considerare in modo stoico, ma, appunto, solo con rabbia e desolazione.


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