Bruno Ganz, grande attore dialettico, riesce a recitare la parte di un Hitler alla fine della propria vita rendendo con grande efficacia la contemporanea esistenza nel personaggio di una radice profondamente disumana e di un estremo residuo di umanità. Di Gigi Livio
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Cinematografo – da cui, abbreviato, “cinema” – è parola derivata dal greco e composta di “movimento” (chinema) e “descrivere” (grafo). Pertanto nessun fotogramma isolato può restituire il valore del movimento di cui è privato. Da questi due fotogrammi si può però desumere la straordinaria capacità di Bruno Ganz di usare lo sguardo nel recitare la parte di un Hitler ormai sconfitto e giunto alla fine della propria vita e della propria avventura politica e militare. È lo sguardo di una belva ferita a morte, ma pur sempre di una belva che, però, mantiene, essendo un uomo, un barlume di umanità. Una contraddizione in termini che l’attore riesce a rendere con estrema efficacia artistica.
Cinematografo – da cui, abbreviato, “cinema” – è parola derivata dal greco e composta di “movimento” (chinema) e “descrivere” (grafo). Pertanto nessun fotogramma isolato può restituire il valore del movimento di cui è privato. Da questi due fotogrammi si può però desumere la straordinaria capacità di Bruno Ganz di usare lo sguardo nel recitare la parte di un Hitler ormai sconfitto e giunto alla fine della propria vita e della propria avventura politica e militare. È lo sguardo di una belva ferita a morte, ma pur sempre di una belva che, però, mantiene, essendo un uomo, un barlume di umanità. Una contraddizione in termini che l’attore riesce a rendere con estrema efficacia artistica.