Dogville, un dono nel deserto

Uscito nelle sale nel 2003, Dogville è il primo film di una trilogia dedicata all’America del regista danese Lars von Trier: un’opera sapientemente costruita che indaga il linguaggio cinematografico e mostra il mondo spietato in cui viviamo. Di Maria Pia Petrini
In un tempo scandito dai ritmi e dalle leggi dello spettacolo, il cinema diventa una macchina per non farci pensare, che confeziona eroi non più tragici, falsi e non finti. La buia sala cinematografica invece d’incantarci ci distrae, confondendosi così fra i tanti orpelli costruiti per imprigionarci in una cella dorata.
Lars von Trier apre una crepa in quei muri e ne svela la fragilità e la falsità: spiazzandoci continuamente ci costringe a riflettere e a dubitare del falso oro luccicante. Ci mostra tutto il marcio del nostro mondo, dove la grazia, l’arte e il dono, sembrano non poter più esistere, ma svelandoci la finzione del suo gioco ci porta a guardare meglio e a vedere che hanno solo le ali spezzate e, costretti a terra, possono ancora lottare, seppur con un canto disperato.

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Nessuna illusione di realtà: Dogville non esiste se non sullo schermo. Finta dunque, ma non falsa, al contrario delle tante immagini perfettamente verosimili, e continuamente sotto i nostri occhi, che occultano la finzione per celare la propria falsità.

Grace è costretta alla fatica e alla burla dei bambini ancora ‘innocenti’, ma non alla
berlina degli ‘adulti’ ormai meschini, che per evitare il disvelamento di ogni possibile contraddizione le impongono il pesante marchingegno di collare, catena e ruota, obbligandola così a tener basso pure lo sguardo, insostenibile per chi non vuol
vedere la verità.


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