A proposito di una trasposizione cinematografica del Ritratto di Dorian Gray

Un brutto film offre qui il destro a una proposta di lettura del Ritratto di Dorian Gray di impostazione diversa da quella corrente. Di Gigi Livio

Una recente pellicola tratta dal romanzo di Wilde mette il luce l’impossibilità di trasporre in film un’opera
simbolistica. La cosa è tanto più problematica se l’opera in questione oscilla tra simbolismo e
allegorismo come sembra essere il caso del Ritratto di Dorian Gray. Una possibile lettura, incentrata
sul parziale rovesciamento dei simboli in allegorie, può aprirsi a un’interpretazione del romanzo
in chiave di parodia. Si tratta di una strada esegetica probabilmente nuova e certamente diversa da 
quelle che normalmente vengono proposte.

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La prima fotografia riproduce la locandina italiana del film, la seconda un’inquadratura in cui si vede Dorian che fuma oppio. Al di là del facile e banale simbolismo della locandina, con il corpo di Dorian che in parte si dissolve, un cupo castello sul fondo e un cielo denso di imminente tempesta, ciò che colpisce, come è nell’intenzione di chi intende propagandare la pellicola, è lo sguardo bieco che più-bieco-non-si-può del protagonista. Il film, infatti, pone in primo piano la perversione sessuale di Dorian. Ma lo sguardo bieco non indica immediatamente perversione sessuale se non nella mente contorta del filisteo: ci saranno perversi con lo sguardo limpido, o con lo sguardo cupo, o con una luce crudele negli occhi o, al contrario, con uno sguardo dolce e mansueto. Lo sguardo bieco, lungi dall’essere simbolo di perversione sessuale è semmai sintomo di perversione sociale: avere quella luce negli occhi è peculiare di chi incentra tutto il mondo in sé e necessariamente disprezza gli altri; di chi intende costruire il proprio successo sulle sofferenze altrui o di chi è pronto a tradire qualsiasi causa e qualsiasi persona per il ben noto piatto di lenticchie; di chi non ha nessun rispetto per l’umanità e nemmeno, che lo sappia o no, per la sua; di chi, per venire a un esempio concreto, disprezza l’opera di un artista usandola come piedistallo per un suo successo commerciale. E questo vale anche per un semifallimento, come in questo caso. Consolazione magra, però, perché ciò non è certo dovuto alla raffinatezza dei gusti del pubblico, che semmai chiede prodotti ancora più commerciali e corrivi.

La prima fotografia riproduce la locandina italiana del film, la seconda un’inquadratura in cui si vede Dorian che fuma oppio. Al di là del facile e banale simbolismo della locandina, con il corpo di Dorian che in parte si dissolve, un cupo castello sul fondo e un cielo denso di imminente tempesta, ciò che colpisce, come è nell’intenzione di chi intende propagandare la pellicola, è lo sguardo bieco che più-bieco-non-si-può del protagonista. Il film, infatti, pone in primo piano la perversione sessuale di Dorian. Ma lo sguardo bieco non indica immediatamente perversione sessuale se non nella mente contorta del filisteo: ci saranno perversi con lo sguardo limpido, o con lo sguardo cupo, o con una luce crudele negli occhi o, al contrario, con uno sguardo dolce e mansueto. Lo sguardo bieco, lungi dall’essere simbolo di perversione sessuale è semmai sintomo di perversione sociale: avere quella luce negli occhi è peculiare di chi incentra tutto il mondo in sé e necessariamente disprezza gli altri; di chi intende costruire il proprio successo sulle sofferenze altrui o di chi è pronto a tradire qualsiasi causa e qualsiasi persona per il ben noto piatto di lenticchie; di chi non ha nessun rispetto per l’umanità e nemmeno, che lo sappia o no, per la sua; di chi, per venire a un esempio concreto, disprezza l’opera di un artista usandola come piedistallo per un suo successo commerciale. E questo vale anche per un semifallimento, come in questo caso. Consolazione magra, però, perché ciò non è certo dovuto alla raffinatezza dei gusti del pubblico, che semmai chiede prodotti ancora più commerciali e corrivi.


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