Vincere, il naturalismo e il melodramma

Unico film italiano in concorso al Festival di Cannes, Vincere di Marco Bellocchio potrebbe tentare un ambizioso discorso critico, ma gli elementi di interesse che emergono nella prima parte vengono presto soffocati dal dramma personale della protagonista. Di Enrico Pili
Nel Cinema la rimozione della finzione tramite un preteso sguardo “oggettivo” sulla realtà (naturalismo 
acritico) non porta mai a quella realtà presa in esame, a causa di un paio di tare ereditarie: il 
persistere dello sguardo del regista (e della sua “classe sociale”) e la maledizione del melodramma, che 
impestano quella presunzione di oggettività sacrificando la complessità sull’altare della lacrimevole
bega familiare.

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Molte le scene ambientate nei cinematografi: questa soggettiva di Ida Dalser permette a Bellocchio un discorso sul cinema come formidabile mezzo di propaganda, grazie alla sua capacità di “sparare” le immagini in faccia allo spettatore. È il discorso dei “ciechi” guidati da un cieco: questi fascisti salutanti sono collocati in un ambiente angusto, scurissimo, silenzioso, straniante.

I fotogrammi sono emblematici del trattamento della fotografia nelle diverse parti del film. Il primo mostra la redazione dell’Avanti!: l’ambiente vuoto, buio, decorato da drappeggi grotteschi e mortiferi costruisce un discorso critico sul partito socialista di allora. Il secondo mostra un esterno del manicomio di Pergine Valsugana: la fotografia si ferma a una distaccata descrizione ambientale.

I fotogrammi sono emblematici del trattamento della fotografia nelle diverse parti del film. Il primo mostra la redazione dell’Avanti!: l’ambiente vuoto, buio, decorato da drappeggi grotteschi e mortiferi costruisce un discorso critico sul partito socialista di allora. Il secondo mostra un esterno del manicomio di Pergine Valsugana: la fotografia si ferma a una distaccata descrizione ambientale.

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