OperaarepO di Uno e Trino: un affondo, attraverso la finzione, nel cuore della realtà.

Uno spettacolo violento, un grido che può risvegliare le coscienze: la compagnia torinese, solo per collocazione abitativa, continua il suo inesorabile lavoro di contraddizione. Di Giuliana Pititu

OperaarepO, l’ultimo spettacolo di Uno e Trino, mette in luce, con notevole senso dell’arte, la tragedia che
ogni giorno si sviluppa e cresce nel nostro paese, e non solo. Si tratta di un disperante tentativo di
recupero del tragico in uno mondo in cui il tragico non esiste più perché sostituito completamente dal farsesco
e dalla falsità, una litania funebre ammaliante e tagliente che non lascia scampo.

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Non esistono immagini relative a questo spettacolo. Ma uno spazio nero come questo può servire a rendere l’idea della poetica di Uno e Trino e sostituire proficuamente le immagini mancanti. In una società che rende tutto spettacolo, che vuole immortalare qualsiasi evento della vita attraverso fotografie e riprese video, rendendo così morte ciò che un attimo fa era vita, l’inesistenza delle immagini ci sembra importante da sottolineare perché è una ulteriore dimostrazione della forte poetica di negazione delle due attrici. Il loro impegno, la loro concentrazione si è risolta solo nell’atto artistico-politico che hanno realizzato sulla scena. Concentrazione e impegno che confermano il legame profondo tra questo gruppo e il teatro di contraddizione. Su questa rivista in occasione di uno spettacolo di Claudio Morganti, esponente di questo teatro, Donatella Orecchia ha pubblicato una foto che ritrae l’attore nell’atto di grattugiare del pecorino sulla pasta. Un’immagine che non lascia spazio al facile compiacimento, come sottolinea la didascalia: “ […] un attore che sale sul palco per esprimere il suo furore artistico e civile con una forza che non può lasciare indifferenti e che poi per raccontarsi sceglie una grattugia, un pezzo di pecorino, un piatto di pasta, senza cedere però alla tentazione del facile ammicco […] ecco è scomodo. Difficile da catalogare. Difficile da archiviare” . Proprio per questo abbiamo scelto uno spazio nero per alludere al lavoro di Anna Tamborrino e Maria Vittoria Muzzupapa perché anche questo non può essere archiviato, catalogato, fermato in immagini. Le due attrici sono arte in presenza in tutto e per tutto, e null’altro.


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