La politica culturale degli uomini dei monumenti

Monuments Men, prodotto, diretto e interpretato da George Clooney, spinge a riflettere sul sempre attuale problema della cultura museale. Di Enrico A. Pili

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Nel film si ipotizza che il Ritratto di giovane uomo di Raffaello sia stato distrutto dai nazisti verso la fine della guerra. Nella scena che mostra alcuni soldati intenti a bruciarlo assieme ad altri quadri la macchina da presa si avvicina all’opera, così che il giovane uomo ritratto sembra “guardare in macchina” mentre il quadro brucia. La scena riprende l’esordio del film: la primissima sequenza mostra infatti un dettaglio degli occhi di uno dei personaggi del polittico di Gand di van Dick, occhi che sembrano guardare in macchina e appellarsi alla platea del cinema, come a chiedere il suo aiuto.
Lo stratagemma utilizzato da Clooney per dire allo spettatore che i quadri sono testimonianza viva della nostra storia è quindi quello dell’antropomorfizzazione del prodotto artistico, che invoca il nostro aiuto mentre i barbari lo distruggono. La controindicazione di un simile trattamento della storia potrebbe consistere nel fatto che invocare la pietà e la commozione dello spettatore verso il suo simile, in questo caso allo scopo di spingerlo all’azione contro la rimozione della memoria, significa fare leva sui suoi istinti e non sulla sua capacità critica, in una maniera che inibisce ogni possibilità di una riflessione dialettica, e quindi seria, sulla storia.



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