Hereafter. L’aldilà è un ventre materno bianco-latte per chi ha visto, vede, vorrebbe vedere cosa ci attende dopo la morte

Varcato il confine della vita, cosa ci attende? È la domanda delle domande, l’interrogazione che ruota intorno alla tanto applaudita ultima pellicola di Clint Eastwood. Impressioni su un film mancato che cerca di rispondere ad interrogativi millenari col linguaggio lacrimevole di uno pseudo-poeta (inter)nazionalpopolare, con buona pace di Gramsci. Di Letizia Gatti

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Un sensitivo con la faccia del bravo ragazzo Damon che fa l’operaio pur di non dover lucrare sul suo dono, l’infatuazione fallimentare per una giovane e bella ragazza problematica conosciuta durante un corso di cucina italiana a New York, la fuga a Londra sulle orme dell’amato Charles Dickens; una anchorman francese di successo sopravvissuta allo tsunami asiatico che si scopre cambiata, le visioni dell’aldilà, il colloquio con una psichiatra un tempo atea ricreduta, un libro autobiografico controverso, la lotta contro lo scetticismo degli editori-pescecani; i gemelli nati adulti che si prendono cura della madre eroinomane, il bullismo, la morte, i servizi sociali, la tossicodipendenza, il riscatto, l’amore, il lieto fine. La Provvidenza. Non si fa proprio mancare nulla Hereafter. Un cappone farcito con i più sgradevoli ingredienti dell’ovvio.

Il trailer (http://www.youtube.com/watch?v=xDnHfQtH0zU), si sa, è una delle vetrine più efficaci per pubblicizzare un film: la logica  a cui risponde non è perciò di coerenza narrativa con la pellicola che intende promuovere ma è di ordine commerciale. Quello di Hereafter aderisce tuttavia, come di frequente accade nel cinema cosiddetto mainstream, allo stesso modo narrativo del film di Eastwood; si è scelto quindi di affiancare all’articolo il trailer nella sua versione originale in modo che chi legge possa capire con più facilità le ragioni di certe argomentazioni critiche.

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