A quasi quarant’anni dal sessantotto, la stagione del “movimento” merita ancora un supplemento d’indagine. Di Armando Petrini
Il libro di Bertante è uno scritto molto interessante, forse non in tutte le sue parti ugualmente condivisibile,
ma comunque capace di toccare alcuni nervi scoperti del sessantotto e soprattutto della sua complessa
e pesante eredità. Particolarmente convincente ci pare l’assunto di fondo del saggio, che coincide poi con
una interpretazione complessiva della contestazione giovanile.
Il sessantotto non sarebbe, da questo punto di vista, l’ultima grande fiammata rivoluzionaria del Novecento,
la cui sconfitta avrebbe determinato quel “ritorno all’ordine” affermatosi poi negli anni ottanta e novanta.
Al contrario, il sessantotto coinciderebbe in realtà proprio con l’avvio contraddittorio di una forma di
“antipolitica” che giungerà a maturazione solo con i primi anni Ottanta: il 68 dunque paradossalmente inaugurerebbe il “ritorno all’ordine” che sfocerà poi, più avanti, nell’epoca postmoderna.
Già Peppino Ortoleva, nel ventennale del sessantotto, scriveva che “uno degli aspetti più enigmatici dell’intero ’68″ andrebbe individuato nell’”intreccio complessivo fra spinte politiche e spinte antipolitiche”. |
