Faust

Faust di Sokurov, vincitore del Leone d’Oro all’ultimo festival di Venezia, ci ha posto di fronte alle difficoltà di fare critica. Volendo mettere in evidenza le luci dell’opera ci siamo arresi di fronte a quelle zone d’ombra che non siamo riusciti a illuminare. Dichiariamo quindi la disfatta dialettica. Abbiamo fallito. Speriamo perlomeno che i nostri appunti permettano al lettore di giungere, almeno lui, all’agognata sintesi del processo. Di Enrico A. Pili

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La locandina di Faust ribadisce il discorso del film: il pensiero illuministico è una veste di pizzi tirata sopra ai bassi istinti umani. Se si guarda con attenzione attraverso il pensiero dei lumi, così come ha fatto Sade, ci accorgiamo che la ragione ordinatrice e distruttrice non ha cambiato la sua sostanza, soltanto il suo vestito.

Il buio dell’arte. A proposito della 54° Biennale di Venezia

Breve riflessione sulla 54° Biennale di Venezia e sulle difficoltà che lo spettatore affronta quando si trova a confronto con l’arte contemporanea e di “puro concetto”. Di Ariela Stingi

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Scorcio dell’installazione, nel padiglione brasiliano, allestito da Artur Barrio. Uno dei punti fondamentali dell’opera di Barrio sono le installazioni atte a interagire e coinvolgere il pubblico. Si fatica, in questo specifico caso, a comprendere quale messaggio l’artista stia mandando ad un possibile osservatore.

Installazione intitolata “Pieta: self-death”, dell’artista Lee Yongbaek. La scultura ripropone l’immagine della Madonna che sorregge il figlio morto, usando due figure: una il calco dell’altra. L’artista si affida ai nuovi media per la ricerca dei suoi lavori e cerca una commistione tra contenuti socio-politici e il pensiero buddista.

Falsa e vera avanguardia. Alcuni appunti su Faust e Melancholia

Faust di Sochurov e Melancholia di von Trier sono messi a confronto, per veloci appunti, dal punto di vista dell’avanguardia allo scopo di cercare di capire quanto di autenticamente diverso, confronto al cinema simbolistico e naturalistico, ci sia nell’uno e nell’altro. Di Gigi Livio

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Due primi piani di Juliette (Kirsten Dunst): nel primo abbraccia il padre alla sua festa di nozze e nella seconda guarda il cielo illuminato da Melancholia subito dopo, quando la festa si sposta in giardino. Nella prima espressione del volto dell’attrice cogliamo il suo desiderio di mostrarsi ‘felice’, illusione destinata a dileguarsi ben presto di fronte all’apparire di Melancholia e cioè della minaccia di morte che la farà piombare nella depressione, una depressione che lei saprà affrontare con forza e stoicismo. Nella seconda inquadratura l’atteggiarsi del volto e dello sguardo ci permette di cogliere preoccupazione e sgomento mentre già si affaccia, attraverso la dolcezza femminile, la rassegnazione.

Due primi piani di Juliette (Kirsten Dunst): nel primo abbraccia il padre alla sua festa di nozze e nella seconda guarda il cielo illuminato da Melancholia subito dopo, quando la festa si sposta in giardino. Nella prima espressione del volto dell’attrice cogliamo il suo desiderio di mostrarsi ‘felice’, illusione destinata a dileguarsi ben presto di fronte all’apparire di Melancholia e cioè della minaccia di morte che la farà piombare nella depressione, una depressione che lei saprà affrontare con forza e stoicismo. Nella seconda inquadratura l’atteggiarsi del volto e dello sguardo ci permette di cogliere preoccupazione e sgomento mentre già si affaccia, attraverso la dolcezza femminile, la rassegnazione.