Dolore perfetto di Claudio Remondi, regia di Claudio Remondi e Riccardo Caporossi

L’ultimo spettacolo di Remondi e Caporossi sembrerebbe, secondo la nostra visione critica, proporsi come un atto di resistenza di fronte alla resa di tanta parte dell’ex-avanguardia al mercato. Di Gigi Livio

L’ultimo spettacolo di Remondi e Caporossi, Dolore perfetto, offre il destro a una serie di considerazioni.
Infatti uno spettacolo non è mai soltanto uno spettacolo. La questione, oggi assai meno sentita di
quanto avveniva negli anni sessanta e settanta, del teatro e in genere dell’arte di contraddizione sembra
qui trovare una sua soluzione alla luce di constatazioni che riguardano la straordinaria forma in cui si 
struttura il testo spettacolare.

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Nel testo si dice che la ruota, elemento sostanziale e strutturale della scenografia di Dolore perfetto, è simbolo della vita e della morte. È chiaro che questa è una nostra lettura. Infatti molte altre valenze simboliche – l’opera d’arte contiene sempre più significati metaforici nei suoi segni e massime in quelli forti – possono essere attribuite a questo elemento scenografico: per esempio, ma proprio solo come esempio di questa polisemicità, si può pensare al gioco, alla ruota come richiamo al gioco dei bambini che ripetono spesso lo stesso gesto, mantengono il medesimo atteggiamento, eccetera. E allora si potrebbe parlare del gioco del teatro come gioco che si rivela profondamente tragico in questo nostro tempo. è un esempio e spetta allo spettatore cercare nel proprio modo di rapportarsi alle cose dell’arte teatrale trovare i propri significati. Le fotografie sono di Tomaso Le Pera.

Nel testo si dice che la ruota, elemento sostanziale e strutturale della scenografia di Dolore perfetto, è simbolo della vita e della morte. È chiaro che questa è una nostra lettura. Infatti molte altre valenze simboliche – l’opera d’arte contiene sempre più significati metaforici nei suoi segni e massime in quelli forti – possono essere attribuite a questo elemento scenografico: per esempio, ma proprio solo come esempio di questa polisemicità, si può pensare al gioco, alla ruota come richiamo al gioco dei bambini che ripetono spesso lo stesso gesto, mantengono il medesimo atteggiamento, eccetera. E allora si potrebbe parlare del gioco del teatro come gioco che si rivela profondamente tragico in questo nostro tempo. è un esempio e spetta allo spettatore cercare nel proprio modo di rapportarsi alle cose dell’arte teatrale trovare i propri significati. Le fotografie sono di Tomaso Le Pera.


Gran Torino con e di Clint Eastwood.

L’ultimo film diretto e interpretato da Clint Eastwood si inserisce senza problemi nelle file delle pellicole di immediato e facile consumo. Presenta però, nella recitazione del protagonista e nel trattamento del problema del popolo Hmong, prospettive interessanti che aprono degli spiragli per alcune riflessioni critiche. Di Enrico Pili

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La buia locandina del film evoca un nuovo giustiziere à la Callaghan, vendicatore in difesa dei “vecchi valori”, con lo sguardo arcigno e il fucile in mano, pronto a sparare per difendere la sua auto sportiva orgogliosamente americana. Le aspettative del pubblico di riferimento della locandina però saranno in parte disattese perché per tutta la durata del film Clint Eastwood non sparerà un solo colpo.

Questo primo piano di Clint Eastwood mostra la sua faccia rugosa, segnata da una smorfia di disprezzo che accentua ulteriormente le rughe attorno alla bocca, rendendola quasi una maschera grottesca.