Lo Studio per Woyzeck di Claudio Morganti. Di Mariapaola Pierini
Non sono molte le occasioni per vedere il teatro di Claudio Morganti. Il suo è un percorso appartato.
Morganti ha scelto da tempo di stare a lato, portando avanti con ostinazione e rigore una pratica teatrale
che sfugge a compartimentazioni e a logiche mercantili e spettacolari.
Quando il suo lavoro arriva sul palcoscenico, come è accaduto di recente in occasione delle cinque rappresentazioni dello studio per Woyzeck al Teatro della Tosse di Genova, le ragioni del difficile rapporto
tra Morganti e il sistema teatrale sembrano diventare immediatamente più chiare. Il lavoro condotto con
i giovani attori della nuova compagnia della Tosse non approda infatti a uno spettacolo, perché così non
potrebbe essere.
Non si esce da teatro appagati, sazi, bensì affamati. Privo di pienezza pacificante, di forme chiuse, fissate e ripetibili, il teatro di Morganti fugge dalla logica della replica, poiché è un teatro che accade – come lui
stesso ha più volte sottolineato -, dove salire sul palcoscenico non significa mostrare l’esito, la produzione,
quanto portare alla luce un pezzo di un percorso che si presuppone infinito, imprevisto e imprevedibile.

